La ricerca di un business model per il giornalismo online che non solo funzioni, ma che sia in grado di fornire agli editori un futuro in rete, passa anche dal ripensare complessivamente la natura del fare informazione online. In Scandinavia, lo Schibsted Media Group sta sperimentando da diverso tempo in una direzione particolare: usare il giornalismo e il traffico online che esso è in grado di generare come volano per vendere altri servizi digitali del gruppo. A raccontare questo modello è ora un paper recente, pubblicato da Jens Barland, Associate Professor presso il Gjøvik University College, in Norvegia. Lo studio è incluso nell’ultimo volume speciale di Nordicom Review, “New Nordic Journalism Research”.
Schibsted è un gruppo internazionale (attivo in 29 paesi, anche in Italia, con Subito.it), proprietario di due delle più grandi testate giornalistiche (le maggiori online) in Svezia e Norvegia, Aftonbladet e VG, rispettivamente con 5 milioni di utenti unici la settimana e 1,5 giornalieri. Entrambi i giornali hanno trascorso tempi duri come gli omologhi in tutto il mondo, perdendo circa il 60% della diffusione delle loro copie cartacee negli ultimi 10 anni. I due giornali hanno comunque spinto molto sul digitale (Aftonbladet è online dal 1994) e hanno chiuso il 2012 generando profitti per un valore vicino al 15% del loro fatturato. Aftonbladet, in particolare, sperimenta da diverso tempo con modelli pay e con i micropagamenti. Nel 2012, inoltre, per la prima volta, gli introiti da pubblicità del tabloid hanno visto dominare il digitale sulla carta.
Il giornalismo porta i click, i servizi portano i soldi:
Buona parte dei risultati positivi nel digitale provengono dalla strategia che Barland sintetizza in questo modo: usare il traffico generato dai contenuti editoriali per promuovere altri servizi digitali, realizzati e prodotti da Schibsted stessa. In un’intervista del 2010, citata dal paper, la Ceo dell’Aftonbladet Anna Settmann ha spiegato questa strategia di business: “possiamo capitalizzare sul nostro giornalismo, che ha costruito un buon volume di traffico online. Utilizziamo il nostro giornalismo come motore. Il giornalismo crea il traffico su cui può spingere nuovi business”. In sostanza, l’editore di Aftonbladet e VG è divenuto allo stesso tempo “l’inserzionista e il proprietario dei servizi pubblicizzati”, scrive il ricercatore.
Schibsted è attivo nel mondo dei servizi online da molto tempo e nella sua area geografica di origine è stato un vero e proprio pioniere quando, già nel 1995, ospitava sulle sue testate online annunci classified.
La svolta, comunque, è avvenuta nel 2002, con l’acquisizione di BytBil, un servizio di pubblicità online per la compravendita di automobili e di Blocket, un portale simile, l’anno successivo. Entrambi erano già molto popolari nel mercato svedese e da quel momento, nonostante i costi ingenti delle acquisizioni, sono diventati un volano importante per Schibsted: i profitti relativi a tali servizi si attestano ora al 50%, in termini di margine operativo). In Francia, invece, i margini operativi per il medesimo servizio, che là si chiama Leboncoin, si attestano addirittura al 68%.
Nel 2012, i soli servizi di pubblicità online del gruppo hanno generato circa 241 milioni di euro in ricavi sul totale di 1,78 miliardi di tutto il gruppo. La costellazione di servizi digitali di Schibsted, comunque, comprende anche altri marchi come Dyrebar, dedicato agli animali domestici, Møteplassen, un servizio di dating, Se.nu per i palinsesti dei programmi tv o Jobb24, per le inserzioni di lavoro.
Konverteringsbolag:
Il termine svedese attorno il quale il gruppo ha fondato la sua strategia è “konverteringsbolag”, che si può tradurre come “convertire i lettori in clienti”, facendoli passare da lettori di articoli a utilizzatori dei servizi pubblicizzati, che generano profitti per il gruppo e non si limitano a procacciare solo nuova pubblicità, come potrebbe scaturire dalla promozione di un’altra testata del gruppo. Questa strategia, scrive ancora Barland, si sta diffondendo capillarmente ed è già adottata in modo importante da altri editoria in Scandinavia, come il gruppo norvegese Amedia e da quello svedese Bonnier.
Il punto centrale delle scelte editoriali di Schibsted, puntualizza Barland nel suo paper, è il cambiamento di impostazione delle testate giornalistiche online che, da organi di informazione, si trasformano in digital media a tutti gli effetti, riuscendo a far proprie anche risorse che non sarebbero proprie del giornalismo. L’idea è affascinate e, almeno nei casi qui trattati, sembrerebbe funzionare, complice un’apertura al digitale, abbracciata sin dai suoi albori dall’editore. Di certo, come nel caso dei contenuti sponsorizzati, rimangono zone grigie nel rapporto troppo connesso tra redazioni e marketing. Da questo punto di vista, il dibattito e la ricerca sono ancora agli albori.
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