È quanto afferma Ofcom, l’autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione in Gran Bretagna, che la scorsa settimana ha pubblicato «International Communication Market Report 2011».
Il rapporto prende in considerazione la situazione del Regno Unito paragonandola con le principali nazioni europee, Italia inclusa, e i maggiori stati del mondo, dagli USA al Brasile, passando per Russia, India e Cina. Si compone di 6 capitoli che analizzano i principali media ed il settore delle comunicazioni tracciando un panorama davvero esaustivo della situazione attuale. Lo studio, oltre a basarsi su oltre 6mila interviste condotte nell’ottobre di quest’anno, utilizza ed assembla i dati di diverse fonti di buona autorevolezza quali, tra le altre, Nielsen, Pricewaterhouse-Coopers, Forrester, comScore e Kantar Media. La relazione conclusiva, liberamente scaricabile, si compone di ben 365 pagine, come sempre, tutte da leggere.
L’elemento di maggior rilevanza, per le implicazioni che genera, è relativo alla predominanza delle telecomunicazioni per i ricavi che produce sia in valori assoluti che pro capite. Fenomeno che è trasversale a tutte le nazioni prese in considerazione dallo studio indiscriminatamente. Rispetto dunque al mondo dei media e dei contenuti, è il carrier, colui che distribuisce totalmente, se parliamo di online, o in parte, nel complesso, i contenuti ad avere nel suo insieme la fetta maggiore dei ricavi. Si tratta di un aspetto che emergeva con chiarezza anche dai dati presentati a fine novembre da Henry Blodget, CEO di Business Insider, durante una conferenza.
Pare non sia nella creazione di contenuti, nell’attrazione di pubblico e nella vendita di spazi pubblicitari, bensì nel trasporto, nella distribuzione di questi contenuti che risieda la quota maggiore delle revenues. Ricavi che, in specifico riferimento alla Rete, oltre al settore delle telecomunicazioni, sono appannaggio sempre più esclusivo dell’abbinata Facebook – Google, con il primo concentrato sulla gestione e distribuzione dei contenuti, ed il secondo, come noto, nella ricerca ed identificazione dei contenuti stessi.
Rete che, come segnala anche Poynter, focalizzando la propria attenzione su questo aspetto dello studio, è sempre più caratterizzata dall’utilizzo in mobilità in tutti i Paesi oggetto dell’analisi in maniera trasversale a qualunque fascia d’età. In quest’ambito l’Italia, pur a fronte di una fortissima penetrazione di smartphones, si distingue per il minor tempo trascorso sul Web da mobile probabilmente per tariffazioni ancora troppo elevate.
Sempre in specifico riferimento all’Italia, la tabella di sintesi (fig. 1.7) degli investimenti pubblicitari per mezzo nel 2010 evidenzia il noto sbilanciamento a favore della televisione che incide l’11% in più della media generale e addirittura il 21% in più rispetto alla Gran Bretagna e, più in generale, ai Paesi del Nord Europa.
E’ sempre l’Italia la nazione con la maggior penetrazione di quotidiani (nazionali e locali) e periodici su carta come viene evidenziato a pagina 29 del rapporto.
Fortissima ormai la penetrazione dei social network con Facebook che la fa da padrone. In Italia circa un terzo del campione accede al proprio profilo una volta al giorno ed un ulteriore 25% lo consulta sino a cinque volte nell’arco della giornata. Notizie di intrattenimento (gossip) e informazioni non sono una delle principali motivazioni di accesso a Facebook per nessuna nazione, ivi inclusa l’Italia ancora una volta. Principalmente donne e di età compresa tra i 18 ed i 24 anni coloro che attingono in maniera non trascurabile ai social network come fonte d’informazione in caso di eventi di particolare rilevanza.
Relativamente bassa la fiducia riposta complessivamente, mediamente intorno al 20%, nelle informazioni ricevute attraverso i social network. Segno evidente della necessità di una maggior responsabilità di trasmissione delle informazioni, delle notizie attraverso questi canali.
Il maggior impatto di questa insaziabile passione per i social network è per la televisione, attività in decremento in particolare in Italia, ma anche per i quotidiani seppur in minor misura.
La televisione, in compenso, o meglio i programmi televisivi, vengono sempre più spesso visti online in circa un terzo dei casi. Ancora bassissima invece, ad esclusione del Regno Unito, la “smart” o “connected” TV, la televisione con accesso diretto al web. Funzione che attualmente viene svolta principalmente utilizzando le console di gioco diffusissime all’interno delle abitazioni anche di coppie senza figli.
L’Italia, insieme alla Spagna, resta ancora oggi la nazione con il minor livello di investimenti pubblicitari online per capite (vd. Pagina 183) con un differenziale unitario davvero rilevante rispetto alle altre nazioni, Un elemento che non può non far riflettere sulle prospettive che tale fonte possa generare realisticamente a breve – medio termine per i quotidiani online ed i media digitali più in generale.
Insomma, in conclusione, pare che anche da questo studio non escano dati confortanti per i produttori di contenuti, di notizie, in generale ed ancor meno, se possibile, nel nostro Paese. Alla necessità di continuare a sperimentare nuove forme di comunicazione e di relazione con gli utenti, con le persone, risulta evidente la necessità di non perdere di vista al tempo stesso la realtà del panorama attuale.