Mister Media: uno studio sulle minoranze
nei mezzi di informazione

6 Marzo 2012 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

“Homines enim persermones sociantur” (Gli uomini, infatti, si associano attraverso il linguaggio) con questa frase, tratta dal “Novum Organum” di Francesco Bacone, il professor Mario Morcellini ha aperto la presentazione dei risultati di “Mister Media – Minority Stereotypes on Media”, uno studio che ha monitorato la rappresentazione delle minoranze sui mezzi d’informazione italiani. Alla base della ricerca si trova proprio il desiderio di mettere al centro lo studio delle parole e delle rappresentazioni comunicative da cui discende la piena soggettività di alcune aree, anche deboli, del mondo dell’informazione.

Il progetto nasce dalla collaborazione tra il Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva e il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. Nel corso della ricerca sono stati monitorati 24 ore su 24 tutti i notiziari e le trasmissioni di approfondimento, dai talk show ai programmi di attualità, in programmazione sui canali nazionali in un arco di tempo che va dal 1 luglio al 31 dicembre 2010 e dal 1 aprile al 30 giugno 2011. Sono stati analizzati 7.153 tra telegiornali, radiogiornali e trasmissioni televisive e radiofoniche per una media di circa 26 “passaggi” al giorno in cui sono state trattate notizie relative alle minoranze.

Alla presentazione del rapporto annuale, avvenuta giovedì 23 febbraio presso il Senato, sono intervenuti, oltre al già citato Morcellini, Gianni Betto, direttore del Centro d’Ascolto Radiotelesivo, Pietro Marcenaro, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e Emma Bonino, vicepresidente del Senato. Inoltre hanno preso la parola i rappresentanti delle varie aree analizzate e gli addetti ai lavori del mondo dell’informazione e della comunicazione come Roberto Natale, presidente FNSI, Stefano Trasatti, direttore dell’Agenzia Redattore Sociale, Giampiero Gramaglia, consigliere per la Comunicazione dell’Istituto Affari Internazionali e Fabio Tricoli, giornalista di News Mediaset.

Emma Bonino ha focalizzato l’attenzione sul ruolo dell’informazione in una democrazia come la nostra: “In una società aperta l’informazione ha un ruolo essenziale nella costruzione di un dibattito e nella formazione dell’opinione pubblica. Il carattere di una società democratica si misura dal rispetto che ha verso le minoranze. In Italia invece si portano le minoranze dietro una connotazione negativa, il transessuale è uguale a una prostituta, l’immigrato è uguale a un delinquente, quasi come fosse un sinonimo. Di questa ricerca sono colpita dal risvolto positivo della radio, ci sono infatti strumenti di comunicazione come la radio che danno una rappresentazione più articolata della realtà”. Il sistema dell’informazione, quindi, è il vero e proprio artefice della costruzione dello stereotipo e del pregiudizio, come ha sottolineato lo stesso professor Morcellini rifacendosi sempre ad una frase di Bacone: “Gli idòla (cioè le costruzioni mentali) e le false cognizioni che da tempo occuparono l’intelletto umano e vi gettarono profonde radici, assediano la mente dell’uomo così che difficilmente apre la porta alla verità. Quindi più si diffondono gli idòla, che possiamo tradurre con i pregiudizi, e più è difficile che noi riusciamo ad attingere alla verità, cioè restituire ai soggetti sociali quello che le incrostazioni dei media gli costruiscono sopra”.

Il concetto di minoranza preso in esame nella ricerca segue una definizione ben precisa: è una minoranza numerica rispetto al totale della popolazione italiana, si distingue da tale maggioranza per tratti culturali, nazionali, religiosi, per diversi orientamenti sessuali e per comportamenti riconducibili ad uno status ritenuto deviante dal contesto sociale. Nello specifico le categorie analizzate sono state così suddivise:

–          Rom, Sinti, Nomadi, Zingari e altre minoranze etno-culturali e linguistiche,

–          Immigrati (UE o extra UE), rifugiati, richiedenti asilo, profughi, clandestini

–          Gay, lesbiche, transessuali e altre minoranze relative agli orientamenti sessuali

–          Tossicodipendenti e detenuti

–          Credo, fede religiosa

L’obiettivo primario è stato quello di studiare la rappresentazione mediale dei fenomeni migratori e valutare come l’informazione radiotelevisiva nazionale, sia pubblica che privata, tratti i temi relativi alla minoranze elaborando le rappresentazioni destinate alla diffusione e alla fruizione mediale.

Nella seconda parte dell’indagine poi sono stati realizzati sei focus group, con l’obiettivo di arricchire l’esame del corpus giornalistico di ulteriori stimoli e riflessioni.

Cominciando dalle minoranze rintracciate nei contenuti radiotelevisivi, è evidente che la categoria che riceve maggior attenzione è quella degli immigrati (e dei rifugiati), che costituisce quindi il luogo privilegiato di costruzione del discorso mediale sull’alterità e le diversità. Da notare che il divario tra questa categoria e le altre aumenta se si considerano solo i contenuti televisivi, la tv sembra comprimere maggiormente sugli “immigrati” il discorso delle minoranze. Di contro, ciò implica che la presenza delle altre categorie è sicuramente più significativa nella radio, la quale conferma una maggiore capacità di accendere l’attenzione su una pluralità di temi e di eventi, grazie anche alla specificità del mezzo e delle sue trasmissioni. Il giornale radio infatti riesce a coprire un numero maggiore di notizie e il formato delle trasmissioni  da luogo ad una varietà tra taglio e linguaggio impossibile su altri mezzi di comunicazione.

Dai risultati dell’indagine si scopre che poi tanto minoranze non sono, visto che i media ne parlano molto, costituiscono anzi delle attrattive per il sistema mediale. Le cosiddette minoranze vengono fortemente raffigurate, in primis gli immigrati, ma in questo caso la comunicazione non è un valore di scambio, anzi questi vedono pregiudicata la loro riconoscibilità, non trovano un riscatto nella comunicazione.

Il rischio più elevato per questo genere di studi è quello di arrivare a risultati tautologici, ed è per evitare questo che la giornata seminariale di giovedì ha voluto mettere al centro del dibattito le speranze di apertura del sistema e i possibili rimedi. La Rete e la radio dimostrano di essere meno ingenerose nei confronti delle minoranze. Ma qual è il ruolo e la responsabilità del giornalista? Uno dei sei focus group è avvenuto proprio con alcuni professionisti dell’informazione. La minoranza può essere considerata come una alterità generalizzata e i media fanno coincidere questa alterità con la devianza. Bisogna fare i conti con l’accelerazione dei processi produttivi, l’aumento della necessità di produrre contenuti, la standardizzazione conseguente di questi contenuti e l’idealizzazione del pubblico. Per evitare da un lato l’aumento della distanza tra il giornalista – osservatore – e il fatto osservato, e dall’altro la riduzione dell’eterogeneità e della possibilità di approfondimento, è possibile ricorrere ad un approccio deontologico più rigoroso, ad una migliore conoscenza dei codici di regolamentazione nella trattazione di alcuni contenuti e a dare più spazio alla ricerca.

Infine da segnalare proprio a questi scopi la Carta di Roma, di cui ha parlato al termine dell’incontro il presidente della FNSI, Roberto Natale. La Carta di Roma è un protocollo deontologico che riguarda i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta e i migranti, promuove una maggiore consapevolezza sull’informazione che tratta tematiche e soggetti legati all’immigrazione nel territorio della Repubblica italiana e altrove, facendo leva sui dettati della Carta dei Doveri del giornalista e sul criterio deontologico che, all’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine, invita al rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati. Così ha spiegato Natale ponendo l’attenzione sull’importanza del linguaggio giornalistico: “La Carta, che da qualche anno è stata introdotta tra i testi da studiare per l’esame dell’Ordine, vuole avere una funzione soprattutto di formazione. Bisogna lavorare sul linguaggio, molti giornalisti non conoscono la differenza tra il e la transessuale. Si dovrebbe attribuire un nome anche agli immigrati sia alle vittime che ai carnefici, che invece vengono identificati solo per nazionalità. Da sottolineare le fondamentali responsabilità del servizio pubblico, vogliamo una riforma che parta proprio da queste cose”. L’istruzione e l’educazione dei giornalisti sono requisiti indispensabili per evitare che le minoranze sociali e culturali diventino anche minoranze informative.

Qui potete ascoltare l’audio integrale di tutta la conferenza.

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