Come gli editori possono far crescere il valore dell’advertising online

3 Settembre 2012 • Digitale, Economia dei media • by

Chi lavora nell’editoria, nell’industria dell’informazione, ben conosce la tendenza al calo del valore riconosciuto per CPM, tutt’oggi il sistema di vendita del display advertising online. Un trend che aumenta ulteriormente le note, e persistenti, difficoltà di buona parte delle testate informative e dei siti dei quotidiani online e che, ad adbundatiam, è particolarmente grave in Italia, una delle nazioni con il CPM più basso ed una tendenza negativa del suo valore: – 8% rispetto all’anno precedente secondo il rapporto sulle tendenze della pubblicità online pubblicato da Google a fine maggio.

Sul tema è intervenuta comScore, nota società multinazionale specializzata nella misurazione dei diversi segmenti e settori in ambito digitale, che ha pubblicato un white paper: “The Economics of Online Advertising: How Viewable and Validated Impressions Create Digital Scarcity and Affect Publisher Economics”.

Il documento, pur avendo il chiaro intento di promozionare uno dei servizi offerti da comScore, resta di interesse generale poiché, come lascia intuire il titolo, poiché analizza le attuali difficoltà a valorizzare adeguatamente la pubblicità online e propone alcune soluzioni.

Viene analizzato come, contrariamente a quanto normalmente avviene in altri casi, in altri mercati, online non vi sia corrispondenza tra incremento della domanda, com’é il caso, anche in Italia, degli investimenti pubblicitari online, e aumento del prezzo.

Questo accade fondamentalmente per due fattori. In primis poiché online non vi è l’elemento di relativa scarsità di offerta né di costi aggiuntivi che invece esistono, ad esempio, per la versione cartacea dei giornali, ma, soprattutto, poiché non vi è certezza né di quante persone abbiano effettivamente visto l’annuncio né, altrettanto, certezza sugli attuali strumenti di rilevazione che si basano su dati campionari. Aspetti ai quali, per completezza d’informazione, è necessario aggiungere la quantità di traffico generato da “non umani” che invece, con il sistema attuale, gli investitori pubblicitari pagano.

Cause e concause che, come detto, determinano la discesa dei prezzi poiché gli investitori, le aziende che investono in comunicazione pubblicitaria online, non sono disposte a pagare prezzi elevati senza avere certezze sull’efficacia degli stessi.

La tabella esemplificativa realizzata da comScore, qui ripresa, mostra l’enorme gap che può esservi per gli editori tra ricavi “premium” e “standard”. Al riguardo viene proposta l’adozione di un nuovo servizio offerto che, secondo quanto affermato, certificherebbe le impression effettive dell’annuncio innalzandone di conseguenza il valore.

Al di là della soluzione proposta, il documento evidenzia il problema della certezza dei dati e dunque della (in)affidabilità degli attuali istituti di rilevazione. Un problema che, ancora una volta, tutti coloro che operano nel settore ben conoscono e che non può essere risolto soltanto mostrando i propri dati ex factory, i Google Analytics, che deve assolutamente essere prontamente risolto poiché, appunto, impatta direttamente sui ricavi dell’industria dell’informazione online.

Non di meno, nella necessaria ricerca di  far crescere il valore dell’advertising online, sono da considerare assolutamente sia interventi sugli attuali format e formati, che hanno abbondantemente mostrato i loro limiti, che su tempo investito e livello di coinvolgimento delle persone, del pubblico di riferimento.

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