Corriere del Ticino, 04.11.2012
Di questi tempi organizzare proprio in Gran Bretagna una conferenza internazionale sull’etica giornalistica è decisamente un’impresa ardita. Con questa battuta David Levy, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford, ha salutato i suoi ospiti conquistandosi subito la platea. Non occorre dire, infatti, che lo scandalo delle intercettazioni che ha colpito il giornale di Rupert Murdoch «News of the World», scuote ancora violentemente l’Inghilterra e non accenna a placarsi.
Le enormi falle, spalancatesi nell’impero mediatico di Murdoch dopo la catastrofe delle intercettazioni telefoniche, sono state descritte nei minimi dettagli da due ricercatori britannici durante la conferenza. A chi seguiva il loro discorso veniva inevitabilmente la pelle d’oca.
Tony Harcup, dell’università di Sheffield, ha studiato il rapporto di inchiesta ufficiale stilato dalla commissione presieduta da Lord Justice Leveson su incarico del Parlamento britannico. Le sue conclusioni sono state sorprendenti. Nonostante i tentativi iniziali di addossare tutta le responsabilità a singoli redattori, la prassi quotidiana nella redazione di «News of the World» presentava forti analogie con la criminalità organizzata. Uno scenario che si riproponeva simile e altrettanto bizzarro anche nei giornali scandalistici della concorrenza. In tutte queste redazioni imperava un clima di paura e di intimidazione che si avvaleva di una struttura di comando di tipo militare. Ovvero tutti facevano ciò che veniva loro ordinato e tenevano la bocca rigorosamente sigillata.
Molti testimoni hanno raccontato di «rituali umilianti» oppure di «lacrime e sangue…» o ancora di «atmosfera avvelenata». I capi redattori erano troppo potenti. Nessuno, tanto meno i semplici redattori, avrebbe mai osato mettere in dubbio questo regime autocratico.
I danni provocati al giornalismo dallo scandalo di «News of the World» sono incalcolabili e si estendono ben oltre i confini della Gran Bretagna.
Angela Phillips docente e ricercatrice presso il Goldsmiths College di Londra, spingendosi in un paragone ardito, si chiede se «una combinazione di nuove tecnologie, che vanno al di là dell’esperienza professionale, unite con la paura di perdere vantaggi competitivi importanti», tanto nel settore bancario tanto in quello della stampa britannica, non siano stati i fattori scatenanti dello scandalo. In entrambi gli ambiti giovani rampanti assatanati di tecnologia hanno superato ogni limite: prima hanno fatto uscire il genio dalla lampada e poi non sono più riusciti a dominarlo e a farlo rientrare.
Gli scandali hanno dimostrato che sul luogo di lavoro vigeva un sistema di competizione esacerbata abbinata a strutture gerarchiche, dove i capi pretendevano risultati senza preoccuparsi di come questi venissero perseguiti. Tale situazione ha intaccato gli standard di eticità a tutti i livelli.
Gli studi presentati in fondo confermano ciò che Ulrich Saxer, emerito professore di pubblicistica a Zurigo e all’Università della Svizzera italiana, scomparso recentemente, già scriveva agli inizi degli anni Ottanta in una sua, allora, pioneristica ricerca: «oltre alla responsabilità individuale dei singoli giornalisti sono le condizioni di base all’interno delle redazioni a determinare in gran parte se gli standard etici verranno osservati e rispettati».
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