Dignità ed equo compenso per i giornalisti

8 Novembre 2012 • Etica e Qualità • by

Cinque, dieci, magari venti euro al pezzo, niente ferie, niente orari, sempre in giro per diverse testate mentre stagisti e pensionati lavorano nelle redazioni. E’ il selvaggio mondo delle collaborazioni giornalistiche. La metà dei giornalisti non ha un contratto stabile, non ha tutele e non ha prospettive. “Per queste ragioni oggi in Italia è necessario approvare una legge che impedisca lo sfruttamento di professionisti che con il loro lavoro contribuiscono a garantire il diritto, costituzionalmente sancito, all’informazione”, è l’appello lanciato qualche settimana fa dalla Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi. Un grido di dolore che il Parlamento ha accolto mercoledì, quando il ddl sull’equo compenso ha passato l’esame della Commissione Lavoro del Senato, dopo aver ottenuto l’approvazione alla Commissione cultura della Camera che in sede legislativa aveva dato avvio alla legge per i giornalisti precari.

Il testo approvato da Palazzo Madama, che ora deve tornare alla Camera, ha accolto alcune modifiche migliorative. Una delle principali novità prevede che la Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico “dura in carica tre anni. Alla scadenza di tale termine la Commissione cessa dalle proprie funzioni”. Nella nuova versione si prevede che la mancata iscrizione per un periodo superiore a sei mesi dall’elenco delle testate che garantiscono il rispetto dell’equo compenso, comporterà la decadenza sia dai contributi all’editoria sia da “eventuali altri benefici pubblici” per chi si rende responsabile di questo tipo di violazione. Viene anche previsto che “il patto contenente condizioni contrattuali in violazione del compenso equo è nullo”. Una seconda modifica prevede che la determinazione dell’equo compenso sia in coerenza con i trattamenti previsti dai contratti.

Pro e contro 

La mobilitazione in favore della legge è stata appoggiata da Articolo21. “Abbiamo deciso di aderire e rilanciare l’appello della Fnsi – spiega Stefano Corradino, direttore di Articolo21 – perché riteniamo che quella sull’equo compenso per i giornalisti sia una battaglia di civiltà giuridica e democratica, e che tocca vari principi espressi della nostra Carta costituzionale, dal diritto al lavoro a quello sulla libertà di informare. Scrivere a ‘3 euro al pezzo’ come avviene per molti cronisti, non solo giovani, è uno sfruttamento e un’umiliazione. Se a questa condizione poi aggiungiamo il rischio che tanti di loro vivono sulla propria pelle scrivendo e documentando la criminalità e i suoi intrecci perversi con la politica e l’economia…”. Le firme raccolte, circa tremila, sono state portate in Parlamento il 9 ottobre. “Hanno firmato i free lance e i giornalisti contrattualizzati, gli operatori della comunicazione, ma anche numerosi personaggi del mondo dello spettacolo da Ottavia Piccolo, a Lella Costa, da David Riondino ad Alessandro Gassman che hanno posto l’accento sul fatto che, anche nel loro ambiente, vigono leggi antiquate e sorpassate che zavorrano il lavoro di tutti”.

In estate, invece, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero si era mostrata scettica e aveva apostrofato: “di questa legge non ne vedo la ragione”. Tra le motivazioni del ministro vi è la “perplessità di estrapolare dai lavoratori atipici una categoria e occuparsi per quella categoria di una norma simile a quella generale”. La Fornero ha poi precisato che la competenza a decidere è del sottosegretario all’editoria (Paolo Peluffo), pur non ritenendo lei opportuna una norma che preveda contributi solamente agli editori che rispettano la legge perché in questo modo “si dà per scontato che qualcuno non la rispetti”.

“Il ministro ha ritenuto di fatto inutile una norma ad hoc sull’equo compenso perché rientrerebbe automaticamente nelle misure previste dalla riforma del mercato del lavoro per contrastare le forme di inquadramento atipico – afferma ancora Corradino – In realtà non è così e in ogni caso un rafforzamento del principio di eguaglianza nel lavoro rivolto all’attività giornalistica è una battaglia sacrosanta. La dichiarazione del ministro era in ogni caso nelle previsioni; ora ci auguriamo, dopo il voto favorevole del Parlamento, che il ministro e il governo tutto avvertano il valore e l’importanza di questa campagna”.

Dall’altro lato, a favore della legge si era espresso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva sollecitato una positiva e rapida conclusione dell’iter legislativo in corso. La palla passa ora nuovamente alla Camera, che dovrà ratificare la legge emendata dal Senato prima che termini la legislatura. La parte più difficile sembra essere dunque passata.

La norma

Passiamo ad esaminare la legge. Il suo scopo principale è proteggere il contenuto degli articoli 3, 21 e 36 della Costituzione. La libertà di stampa, sancita dall’art.21, è ostacolata dal continuo ricorso a forme di esternalizzazione e precariato. L’articolo 36 coniuga invece il diritto del lavoratore ad un’equa retribuzione con un’ esistenza dignitosa, cosa che non avviene nel settore giornalistico.

L’articolo 2 del ddl istituisce la Commissione per la valutazione dell’equità retributiva del lavoro giornalistico, composta da tre membri, due nominati dal Governo e uno dall’Ordine dei giornalisti. La Commissione ha come principale compito la definizione dei requisiti minimi di equità retributiva dei giornalisti iscritti all’Albo titolari di un rapporto di lavoro subordinato. Inoltre deve redigere un elenco dei datori di lavoro giornalistico che garantiscano il rispetto di tali requisiti, dandone adeguata visibilità sul sito internet del Dipartimento per l’Editoria. L’accesso ai contributi pubblici sarà elargito solo ai giornali presenti nell’elenco (art. 3).

Il provvedimento in via di approvazione va valutato anche alle luce dei principi comunitari in materia di libera concorrenza nel settore delle professioni. Un’eventuale norma tariffaria di questo tipo potrebbe essere in conflitto con la normativa europea sulla libera concorrenza? “Nessun conflitto. Nello spirito comunitario, la tutela del mercato non implica, affatto, un liberismo senza freni ma promuove, almeno sulla carta, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche e un rifiuto delle posizioni dominanti: i compensi diseguali producono inevitabilmente squilibrio e diseguaglianza”.

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