Una nuova narrativa per il giornalismo digitale

7 Gennaio 2013 • Digitale • by

“La stampa quotidiana era la regina del giornalismo. Era. Oggi occorre far riferimento all’ ‘always on’, al sempre connessi, con labilissimi legami con il senso del luogo e con un’attenzione particolare ai linguaggi, anche giornalistici, ma rigorosamente al plurale e aperti a qualunque contaminazione”. Pasquale Mallozzi, docente di scritture giornalistiche on line alla Sapienza, giornalista del Corriere dello Sport e fondatore, insieme a Mario Morcellini, di ComunicLab, nel suo e-book “Era la stampa, bellezza” fa un quadro del giornalismo italiano dagli albori alla rivoluzione digitale. All’EJO ha rilasciato un’interessante intervista sul futuro del giornalismo in Italia e le caratteristiche della narrazione on line.

“I tablet possono costituire un’occasione di rilancio” scrive nel libro, “ma le esperienze in Rete non hanno saputo coniugare le caratteristiche della scrittura ipertestuale e multimediale con il rispetto dei principi del giornalismo di verifica, che si è riprodotto in Rete in contenuti e logiche della stampa tradizionale”.

Come stanno andando le cose, vede dei miglioramenti?

“Vedo dei peggioramenti. La logica del tablet è più vicina a quella della stampa nel senso più tradizionale del termine e rappresenta anche una possibile evoluzione della stampa tradizionale, quella più vicina al cartaceo, mentre la Rete rappresenta qualcosa di sufficientemente diverso. Nella Rete il lettore ha in mano il pallino e decide lui cosa leggere, quali sono i suoi interessi, le notizie spesso se le crea da solo, le cerca e le costruisce. Si dovrebbe fare un grosso lavoro di sperimentazione di linguaggi nuovi che tengano insieme l’aspetto ludico, narrativo insieme alle forme più classiche del giornalismo, non basta più la semplice notizia”.

Mentre Newsweek passa al digitale il The Daily di Murduch per iPad fallisce, non le sembra un controsenso?

“Il The Daily è un prodotto che ha anticipato molto la storia del giornalismo su tablet, non c’era ancora un lettore maturo per apprezzare quello sforzo. Comunque è stato un esperimento interessante che indica una strada e da quegli errori bisogna trarre una lezione. Lì il problema era che non leggevi molto, gli articoli erano brevi, l’impaginazione risentiva molto dello spazio contenuto della schermata. Mancava poi l’identità di fondo, per questo forse per Newsweek sarà diverso, partendo già da una presenza consolidata e un’identità precisa riconosciuta e riconoscibile. Inoltre manca ancora la possibilità di far soldi attraverso queste cose, un po’ per la limitata diffusione del tablet, con un certo margine di scomodità legata alla possibilità di trovare punti wifi e di immaturità del lettore nel cercare in questo mare magnum dove tutto è in forma gratuita, il tablet viene visto ancora come appendice della Wii, come un giocattolo”.

Stampa italiana, il nodo del rinnovamento

La difficoltà della stampa italiana rimane quella di rinnovarsi e incontrare le esigenze dei lettori più giovani. L’informazione in Rete ha privilegiato un giornalismo spesso veloce, concentrato soprattutto sulla vicenda ma non sull’approfondimento. “Con le dovute eccezioni per le inchieste di Repubblica e linkiesta”, precisa Mallozzi. Assenti invece le forme più mature di infografica e commento.

“L’online dovrebbe essere utilizzato al meglio proprio per instaurare un colloquio con il lettore. Spesso lo spazio dei commenti viene usato quasi per insultarsi. Col tempo dovrebbe diventare uno spazio aperto dove l’autore stesso deve intervenire, anziché un luogo in cui ognuno dice la sua in un clima di iper individualismo dove tutti si sentono in dovere di esprimere opinioni sempre più forti proprio perché siano visibili”.

Ecco come cambiano le abitudini mediali degli italiani e quali sono le fonti d’informazione utilizzate nella fascia d’età 14/29 anni (vedi grafici Dati Censis/Ucsi sulla Comunicazione 2011).

 

L’edicola digitale, crowdfunding e inchieste in Italia

È nata l’edicola italiana digitale, sei grandi gruppi editoriali si sono riuniti in un consorzio per il pagamento dell’informazione in Rete.

Il fatto di essersi federati non è per paura di fare il passo verso il paywall?

“In questo momento di straordinaria crisi è difficile la comprensione dello stato dell’arte e di quello che potrebbe essere il futuro e l’editore è alla ricerca di qualunque forma più o meno astuta di trovare uno spazio per recuperare dei soldi, per vendere il prodotto prima ancora che per diffonderlo. Il lettore ormai è abituato a cercare le notizie, pensando per esempio ad internet come ad un grande spazio indifferenziato dove è difficile trovare i confini, non vado più in edicola a scegliere Repubblica, Corriere o altro. Prima leggevo quel giornale che era il mio giornale e là dentro avevo una sorta di patto dove trovavo tutto quello che mi serviva, sapendo che era vicino alle mie idee e dove magari c’era anche un effetto sorpresa. Oggi questa cosa è cambiata, è difficile che vado a vedere solo l’homepage di Repubblica o del Corriere, le vedo tutte perché ce le ho a disposizione e faccio una ricerca complessiva, non sono più indirizzato verso un sito in particolare, se non dove viene creato un effetto comunità. È più logico e naturale che ci sia una federazione di giornali dove io vado a cercare le diverse voci sulla stessa notizia, il problema è riuscire a recuperare il senso della sorpresa, riuscire a fidelizzare il pubblico per recuperare l’antico senso di giornalismo di servizio dove io vado a cercare quelle cose su quello spazio”.

Il crowdfunding potrebbe essere un modo per supplire alla scarsità d’inchieste in Italia, perché non riesce a funzionare come negli USA dove, per esempio, l’esperienza di ProPublica ha dato buoni risultati?

“Negli Stati Uniti esiste il mecenatismo, il finanziamento pubblico, la filantropia abbastanza onesta, da noi invece c’è scarsissimo credito a tutto questo ma una diffidenza di fondo a cui si aggiunge un esasperato e mal compreso finanziamento pubblico che ha portato a dei guasti. Dal punto di vista giornalistico il crowdfunding potrebbe essere una cosa interessante, ma in Italia veniamo da una tradizione che non è particolarmente brillante sia nel campo dell’inchiesta sia nel campo di un giornalismo di servizio. Spesso il giornalismo in Italia si è avvicinato troppo al potere, le inchieste sono state spesso legate al potere o meglio il ragionamento è ‘essendo di parte faccio un’inchiesta contro i miei avversari e non a favore o al servizio dei cittadini’. Alcune inchieste sono anche meritorie ma servono a colpire l’avversario politico”.

Quanto sono attrezzati i giornalisti delle redazioni alla scrittura online?

“Premetto che diffido dai social network per uso giornalistico. Il giornalismo figlio di twitter non può essere considerata una fonte. Per quanto riguarda le competenze c’è una straordinaria carenza di tipo culturale, le forme della cultura digitale sono completamente sconosciute nelle redazioni tradizionali che si vantano ancora di un giornalismo antico nelle forme e nella struttura mentale che c’è dietro. Dove spesso per esempio anche le forme più avanzate non fanno altro che riprodurre dei linguaggi dati. Spesso il video in Rete è un mero servizio televisivo, non si fa altro che riportare pezzi di stampa, pezzi di tv, pezzi di radio sull’online dimenticando che c’è bisogno invece di un nuovo modo di raccontare le cose e di tenere insieme i diversi linguaggi che si integrino. Pagare la notizia da leggere: o è un servizio estremamente specialistico allora sono anche disposto a pagarlo, ma una notizia no. Ci vuole una scrittura nuova: leggo un po’, ogni tanto c’è un video, una galleria di foto, frasi estrapolate e messe in evidenza, molti link e approfondimenti. Ci deve essere una maturazione di questo linguaggio che sappia ospitare tutte le diverse possibilità”.

Quale il primo passo da compiere?

“Si potrebbe partire dai corsi di scrittura online all’università: è difficile insegnare a scrivere per l’online perché è un mondo effervescente, quindi devono essere i lettori a dirci come vogliono leggere e dove vogliono leggere. L’editoria ha perso il lettore giovane, sarebbe bello cominciare a capire cosa vuole leggere”.

Quali devono essere le caratteristiche del giornalista digitale?

“Straordinaria curiosità, impregnato e consapevole di che cosa significa cultura digitale e quanto sia diverso il mondo legato al digitale rispetto all’analogico proprio nell’essenza, nelle forme, nell’astrazione, nelle possibilità di manipolare, raccontare, recuperare il senso del racconto con queste forme nuove, una narrativa costruita, altrimenti non ha più senso il giornalista né dell’oggi né del domani”.

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