Un progetto per la parità di genere nel giornalismo

12 Dicembre 2017 • Cultura Professionale, Più recenti, Ricerca sui media • by

Superjet International / Flickr CC

La maggior parte degli studi sulla relazione problematica fra le donne e i mezzi d’informazione negli ultimi 50 anni ha rilevato che le donne sono quotidianamente sotto-rappresentate in termini sia di contenuti che di decision-making. Il perdurare di questa disuguaglianza nel tempo indica che la questione è strutturale e globale.

Negli anni sono state sviluppate numerose linee guida, altrettante direttive e sono stati varati degli indicatori di parità di genere per far fronte al problema, ma la ricerca disponibile mostra che, nonostante gli sforzi, ben poco è cambiato. Ora un nuovo progetto europeo, Advancing Gender Equality in Media Industries (Agemi), vuole utilizzare un approccio diverso e vuole diventare una risorsa per la ricerca e le best practice, creando consapevolezza fra i giovani giornalisti e costruendo migliori relazioni fra la formazione giornalistica e l’occupazione.

Discriminazione di routine
Le disuguaglianze di genere nei mezzi d’informazione rafforzano le discriminazioni di routine che storicamente fanno parte dell’esperienza delle donne nei media. Le rappresentazioni irrispettose delle donne, le disuguaglianze sul posto di lavoro e lo sbilanciamento delle relazioni di potere nelle strutture dirigenziali inibiscono il progresso sociale e rendono l’obiettivo della parità di genere estremamente difficile da raggiungere. In risposta alle conclusioni pessimistiche degli studi accademici sul dilemma donne-informazione, singole organizzazioni mediatiche, le associazioni professionali, i sindacati e i gruppi a sostegno delle donne hanno prodotto negli ultimi anni diverse ricerche e sviluppato strumenti ed esempi di buone pratiche.

Anche le istituzioni europee e internazionali, come l’European Institute for Gender Equality, la European Women’s Lobby, il Consiglio d’Europa, l’Unesco e altri ancora, hanno tentato di affrontare il problema. Queste risorse, però, sparse per il mondo, rimangono spesso negli uffici delle risorse umane a languire su scaffali impolverati o dentro vari database su numerose piattaforme digitali.

Un approccio differente?
Il progetto Agemi sta svolgendo un importante intervento riconoscendo due questioni: da un lato, la necessità di raccogliere tutto il lavoro che è stato sviluppato al fine di far progredire la parità di genere nel settore e renderlo disponibile a tutti; dall’altro, la necessità di generare consapevolezza sulla disparità di genere nelle future generazioni di giornalisti e lavoratori dei media. Il progetto punta anche a creare relazioni più strette tra il mondo accademico e quello professionale per cambiare la cultura esistente.

Il progetto è condotto dall’Università di Newcastle nel Regno Unito in collaborazione con le Università di Göteborg e Padova, Copeam e la European Federation of Journalists. Agemi sta lavorando per lanciare delle risorse per la formazione pensate per ispirare e informare gli studenti e i professionisti dei media, per sviluppare un archivio di buone pratiche e al fine di facilitare l’incontro fra gli studenti e i professionisti attraverso una summer school e degli stage.

Composto da docenti e studenti di giornalismo e da membri delle associazioni professionali, il team di Agemi riconosce che a volte ci sono delle discrepanze fra ciò che viene insegnato agli studenti e ciò che l’industria si aspetta da loro. Gli studenti hanno spesso una concezione irrealistica della professione che hanno scelto, soprattutto in questo momento in cui la trasformazione dell’industria mediatica sta producendo opportunità imprenditoriali ma anche un certo irrigidimento dei ruoli che finisce per favorisce anche il persistere delle problematiche di genere.

Agemi è finanziato dall’Unione Europea ed sarà attivo fino a luglio 2019. Se si vuole scoprire di più sul progetto e farne parte, condividendo delle buone pratiche o offrendo uno stage a uno studente, è possibile contattare Karen Ross via mail ([email protected]), o contattare Agemi direttamente su Facebook o Twitter.

Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta

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