Il giornalismo su Internet, di nuovo

4 Gennaio 2016 • Digitale, Più recenti • by

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Una delle false credenze che si sentono – ancora – ripetere sul giornalismo online è che questo sarebbe uno spazio privilegiato esclusivamente per una forma di informazione istantanea, veloce, poco approfondita e, conseguentemente, superficiale. Una sorta di “primo assaggio” verso l’informazione vera, ragionata, curata e preziosa da trovare sulla carta stampata. Il mantra ha in qualche modo penetrato le coscienze di chi il giornalismo lo scrive, lo analizza, lo pubblica e lo dirige e, almeno in Italia, torna in superficie con una sua periodicità che forse diminuisce ma mai si azzera.

Questa idea ha forse influenzato e continua a influenzare il modo in cui si fa il giornalismo su Internet in diversi contesti. Ad esempio, dato che l’informazione online è, per larga parte, gratuita per il lettore ed è spesso realizzata da istituzioni che hanno sul mercato anche altri prodotti a pagamento e di carta, si è forse creduto che si potesse rinunciare a una fetta di qualità, sia di contenuto che – ed è bene non sottovalutare questo aspetto – di contenitore. I lettori, si pensava, avrebbero preso quello che c’era da prendere ma non avrebbero di certo messo da parte la vecchia abitudine di andare in edicola. Sappiamo benissimo come è andata.

A smentire quella falsa credenza sono arrivati nuovi dati, resi disponibili da Chartbeat negli ultimi giorni e raccolti da Poynter. Per chi non la conoscesse, Chartbeat è un’azienda che sta contribuendo in maniera sostanziale a riscrivere il modo in cui si analizzano le performance dei contenuti su Internet, guardando oltre i meri click e puntando, invece, sull’attenzione complessiva che i lettori dedicano a quello che leggono. Quello di Chartbeat è un approccio davvero contemporaneo alla quantificazione del giornalismo con conseguenze importanti sul modo in cui si organizzerà l’economia del giornalismo da qui in avanti. Chartbeat ha reso disponibile la sua top 20 annuale degli articoli con il migliore engagement pubblicati dalle testate che usano il suo sistema.

L’articolo ad aver ottenuto più attenzione in assoluto è stato pubblicato sul sito di The Atlantic lo scorso febbraio con il titolo “What ISIS Really Wants” (è anche la storia di copertina dell’edizione cartacea di marzo della rivista). Il pezzo è un’analisi fluviale di 10mila e più parole sulle origini, gli sviluppi e le conseguenze delle azioni dello Stato islamico e, complessivamente, ha attirato le attenzioni dei lettori per oltre 100 milioni di minuti, ottenendo 10 milioni di pageview nel giorno di pubblicazione e circa 10mila ogni singolo giorno seguente, scrive Poynter. Il 13 novembre, giorno degli attacchi di Parigi, l’articolo ha toccato un nuovo picco di attenzione, con 1,9 milioni di pageview. Qui sotto i dati completi, twittati da Chartbeat:

I dati indicano chiaramente alcuni aspetti sistemici interessanti: anche contenuti “enormi” possono funzionare molto bene sul web, ottenere più attenzione di altri e avere una vita più lunga di quelli normali o superficiali, da aggiornamento veloce che, invece, secondo la vox populi dovrebbero essere la cosa migliore da pubblicare sul web. Certo, “What ISIS Really Wants” è un caso particolare: è stato confezionato in modo perfetto e per essere indicizzato al meglio (e anche questo è assolutamente un merito) e ha avuto, a diversi mesi dalla sua pubblicazione, una seconda ondata di interesse, per quanto motivata da eventi tragici. Detto questo, è bene ricordare anche che si tratta di un pezzo di giornalismo eccellente che la redazione si è impegnata ad aggiornare e ampliare nel corso del tempo, arricchito anche da elementi multimediali à la “Snow Fall” e video riassuntivi. Chapeau, The Atlantic.

Parlando con Poynter, Josh Schwartz, Chief Data Scientist di Chartbeat, ha fatto notare altri dati interessanti sulla parabola del pezzo. Le fonti di traffico si sono evolute nel corso del tempo, ad esempio: inizialmente, infatti, è stato Facebook a portare la quota maggiore di attenzione all’articolo – alla faccia del clickbait -, un trend che si è evoluto successivamente e ha portato invece Google in cima alla classifica, garantendo la continuità di traffico per quasi un anno. Inoltre, il tempo speso per pagina è stato di oltre 3 minuti e “molti utenti” sono tornati a leggere il pezzo, anche a distanza di mesi.

I dati di Chartbeat si aggiungono comunque ad altri indicatori che mostrano in modo piuttosto chiaro come quella dicotomia web-aggiornamento / carta-approfondimento non corrisponda poi davvero alla realtà. Lo scorso maggio, ad esempio, un’altra analisi di Buzzsumo aveva mostrato come gli articoli di BuzzFeed a ottenere il maggior tasso medio di condivisioni sui social fossero quelli più lunghi di 3mila parole, un dato che per il sito più gattoso di Internet sarebbe ancora più marcato che per il serio e rispettato Guardian:

Schermata 2015-01-03 alle 18.06.43Trarre conclusioni che funzionano per tutti, nel giornalismo online, non è mai un’idea perfetta, ma i dati indicano chiaramente quanto alcune direttrici si stiano delineando in modo sempre più chiaro. Anche il mobile, che per definizione potrebbe tranquillamente passare per il supporto meglio incentrato sulla fruizione di contenuti rapidi e veloci, dà invece spesso prova di andare anche nella direzione opposta.

La realtà dei fatti dice che il web può essere tranquillamente il luogo dell’approfondimento giornalistico e dei contenuti impegnativi e in profondità. Non si capisce davvero perché dovrebbe essere il contrario, d’altronde. La cosa certa è che sembra sempre più vero quanto molto di quello che pensiamo di conoscere su Internet, in realtà, non sia necessariamente vero. Nel 2016 occorrerebbe ricordarselo, specialmente se si vuole che i lettori paghino per leggere quello che si offre loro sul web.

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