Immersive Journalism, (ri)vivere le news

5 Maggio 2015 • Digitale, Più recenti • by

Credits: Philip Di Salvo / EJO

Credits: Philip Di Salvo / EJO

Berlino – “Usare tecniche trans-mediali per immergere i lettori nelle storie giornalistiche attraverso l’impersonificazione virtuale”: in una frase, ecco l’immersive journalism secondo James Pallot, co-fondatore di Emblematic Group, l’agenzia di produzione multimediale che ha deciso di re-inventare il futuro del giornalismo. Immergendolo nell’augmented reality.

A Berlino, in occasione di re:publica, Pallot – che ha sostituito all’ultimo minuto la regista Nonny de la Peña – ha presentato alcuni progetti pionieristici realizzati negli ultimi anni in questo settore. L’idea dell’immersive journalism è quella di fruire direttamente l’ambiente e il contesto in cui è avvenuta la notizia, entrandovi in prima persona con l’aiuto di un visore per la realtà virtuale con cui (ri)vivere la versione digitalizzata dell’evento, creata a partire da materiali originali.  E ottenendo, da parte dei lettori, una “forte reazione emotiva”, sfruttando il senso di “presenza” nella notizia.

Uno dei primi progetti di questo tipo risale al 2007: “Gone Gitmo”, una riproposizione virtuale delle pessime condizioni di vita dei detenuti del carcere di Guantanamo, realizzata sulla base dei registri degli interrogatori di Mohammed al-Qahtani, ottenuti tramite una richiesta FOIA. Indossando il visore, si viene immediatamente gettati in una cella del carcere sull’isola di Cuba e costretti ad assumere le dolorose posizioni dei carcerati, circondati anche da riproposizioni dell’audio delle guardie. L’obiettivo di questo progetto, ha spiegato ancora Pallot, era quello di “offrire l’esperienza del prigioniero in prima e terza persona”, costringendo chi indossa il visore a guardarsi in uno specchio dal proprio punto di vista.

Dello stesso filone anche il progetto “Hunger in Los Angeles” che Nonny de la Peña ha realizzato nel 2012 per la University of Southern California e presentato al Sundance Festival del 2012. In questo caso, sempre grazie a un visore, il “lettore” viene collocato in una fila all’esterno di una mensa per i poveri a Los Angeles dove un uomo era caduto vittima di una crisi diabetica per via della fame.

In seguito, Emblematic Group ha iniziato a lavorare sempre di più con gli Ugc, a partire dal progetto “Use of Force”, dedicato questa volta alla storia di Anastacio Hernandez Rojas, un migrante ucciso dalla polizia lungo il confine Usa/Messico. In questo caso, la scena del pestaggio è stata ricreata a partire da due diversi video amatoriali disponibili che hanno immortalato la scena da due diverse prospettive: una frontale e una aerea, da un balcone. Indossando il visore, ci si ritrova per strada o affacciati alla finestra, tenendo uno smartphone come se si stesse filmando realmente il video originale. Il “doppio ” virtuale della vittima, inoltre, è stato realizzato con una scansione 3D.

Lo scorso gennaio, “Use of Force” è finito su BuzzFeed, che lo ha utilizzato come esperimento per testare le reazioni dei suoi giornalisti al “prendere parte” alla notizia. I risultati sono molto interessanti, anche dal punto di vista emotivo, e sono stati riassunti in un video:

“Project Syria”, invece,  è forse il progetto più noto e riuscito di Nonny de la Peña ed Emblematic Group. Realizzato nel 2014 per World Economic Forum di Davos, ripropone due scene diverse provenienti dal conflitto siriano: l’esplosione di un missile in una strada di Aleppo e la vita quotidiana in un affollatissimo campo profughi. In questo caso, il team di Emblematic Group ha “ricreato” di nuovo numerosi contenuti originali, come un video – e il suo audio – Ugc girato dal marciapiede della strada colpita e riproponendo anche i volti dei numerosi testimoni (molti dei quali bambini, nda) perfezionando la resa dei dettagli giornalistici del caso.

Ai confini con il documentario, la possibilità di sfruttare visori per la realtà virtuale e l’augmented reality è sicuramente uno dei terreni più fertili per la sperimentazione con le news. Secondo James Pallot, il futuro del giornalismo, nella sua versione “immersive”, avrà a che vedere con il “senso di essere presenti” nella notizia e non solo nella sua cronaca. Si tratterà, insomma, di spingere ancora più in là i confini di quella cosa che continuiamo a chiamare giornalismo.

Leggi l’intervista di Valerio Bassan a Nonny de la Peña inclusa nell’ebook “Next Journalism”, pubblicato da Wired Italia in collaborazione con l’Ejo e Newslab

 

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