Atti d’indagine pubblicati, vince l’interesse collettivo

10 Luglio 2014 • Etica e Qualità • by

Mentre a livello nazionale, in molti Stati, prosegue il tentativo di porre freni alla libertà di stampa, la Corte europea dei diritti dell’uomo prosegue nel suo cammino verso una forte protezione del diritto alla libertà di espressione dei giornalisti. Ultima in ordine di tempo, in questa direzione, la sentenza depositata il 1° luglio che è costata una condanna alla Svizzera (qui la sentenza: AFFAIRE A.B. c. SUISSE).

La vicenda riguarda il difficile equilibrio tra diritto della collettività a ricevere informazioni sui procedimenti penali in corso e la segretezza delle indagini nonché il diritto alla presunzione di innocenza degli indagati. Questi i fatti all’origine della vicenda. Un giornalista aveva pubblicato un articolo su un procedimento penale nei confronti di un conducente che aveva causato un incidente stradale, provocando la morte di 3 persone. Il giornalista aveva pubblicato un resoconto dell’interrogatorio incluse alcune dichiarazioni rese dall’uomo durante l’inchiesta (con alcuni dettagli sulla sua identità e sul suo passato) e la fotografia di alcune lettere spedite dal conducente al giudice istruttore. La procura aveva aperto un’inchiesta nei confronti del giornalista accusato di aver pubblicato atti d’indagine coperti dal segreto istruttorio.

Il reporter era stato così condannato a un mese di carcere poi commutato in una multa pari a 4mila franchi svizzeri. Una sentenza contraria all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ad avviso della Corte di Strasburgo alla quale il giornalista si era poi rivolto. Prima di tutto, osservano i giudici internazionali, la collettività deve essere informata sui procedimenti penali tanto più che il funzionamento della giustizia riveste un interesse per la collettività. Se è vero che i giornalisti devono rispettare doveri e responsabilità inerenti alla professione, è anche vero che deve essere salvaguardato il doppio diritto del giornalista a fornire informazioni e del pubblico a riceverle.

Per la Corte, che dà peso al clamore suscitato dall’incidente tra la collettività, i giudici interni, nel ritenere che era stato compromesso anche il diritto alla presunzione d’innocenza dell’indagato a causa della divulgazione degli atti dell’inchiesta, non hanno tenuto conto che il processo nei confronti del conducente si era svolto dopo ben due anni dalla pubblicazione dell’articolo con la conseguenza che certo non poteva aver avuto alcuna influenza sul giudizio. Senza dimenticare che a processare il conducente erano stati magistrati professionisti e non una giuria popolare, situazione che riduce sicuramente i rischi di condizionamenti.

Lo Stato, inoltre, non ha dimostrato in che modo è stata lesa la presunzione d’innocenza del conducente che aveva provocato l’incidente che, tra l’altro, non aveva avviato alcuna azione nei confronti del giornalista. Riguardo poi alla pubblicazione delle fotografie delle lettere, la Corte ha ribadito che l’articolo 10 della Convenzione non solo protegge il contenuto delle idee e delle informazioni, ma anche la forma con la quale sono riprodotte, riconoscendo così ampia autonomia al giornalista.

Né i giudici nazionali, né la Corte – osserva Strasburgo – possono sostituirsi alla stampa nell’individuazione delle tecniche di redazione di un articolo. Senza dimenticare che il giornalista ha diritto a ricorrere a esagerazioni e all’utilizzo di espressioni in grado di attirare il pubblico. Un’ulteriore violazione della Convenzione, inoltre, si è verificata con riguardo all’utilizzo di sanzioni sproporzionate non necessarie in assenza di un bisogno sociale imperativo. Di qui la condanna alla Svizzera obbligata a versare al giornalista 5mila euro.

Articolo pubblicato originariamente sul blog di Marina Castellaneta

Photo credits: Wikimedia Commons

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