Perché far pagare il canone SRG anche a chi non ha la TV?

24 Febbraio 2011 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

Come continuare a garantire la qualità e la pluralità del servizio pubblico dell’informazione in Svizzera: problemi e nuovi scenari nell’era digitale

Una lettrice della Neue Zürcher Zeitung la scorsa settimana in una lettera al quotidiano svizzero lamentava di non capire perchè in futuro dovrebbe pagare il canone della televisione visto che non la possiede, tanto più nemmeno potrebbe visto che non ha l’allacciamento via cavo . E data l’intenzione della SRG SSR  (ente pubblico radiotelevisivo svizzero) di estendere il pagamento del canone a tutti i cittadini svizzeri come fosse un’imposta della cassa malati e dunque una sorta di contributo solidale (per cui lei che non ha la tv paga affinchè altri possano godere del servizio pubblico), chiedeva se a pari condizioni qualcuno fosse così gentile da dividere con lei il costo del suo abbonamento alla NZZ. Tanto più sortiva, che la tv instupidisce mentre il giornale accultura, quindi sarebbe per una migliore causa.

E  le preoccupazioni di questa lettrice non si discostano molto da quelle degli addetti al settore, in particolare della carta stampata, che per prima si sente chiamare in causa quando si parla di servizio pubblico dell’informazione.

Per diversi motivi: l’intenzione della SRG di rafforzare ed estendere maggiormente la propria attività sul web, la concessione a dicembre del raddoppio dei minuti di pubblicità nella fascia del primetime televisivo e l’intenzione di estendere il pagamento del canone a tutti i cittadini, quasi fosse una tassa governativa.

Roger Köppel, direttore del settimanale svizzero Weltwoche, nel suo editoriale del 19 gennaio si era detto preoccupato delle intenzioni della SRG di estendere il suo monopolio anche alla rete così come di istituire un canone obbligatorio per tutti. A suo avviso la SRG farebbe invece bene a ridefinire la propria missione e  il proprio statuto anzichè nascondersi dietro il concetto nebuloso di “servizio pubblico” prima di andare in cerca di fonti alternative di guadagno.

Alcuni dati: la SRG SSR ha un mandato costituzionale che le impone di offrire programmi di qualità con un ambizione nazionale. Significa che ha 7 canali televisivi e 17 reti radiofoniche per 4 regioni linguistiche.  Incassa 300 milioni l’anno di pubblicità (pari al 25% dell’incasso totale) e gode delle entrate del canone pari a 460.00 CHF pro capite. Ha chiuso il 2009 con una perdita di 46,7 milioni di franchi mentre per il 2010 è atteso un passivo di 75 milioni.

E se Köppel dalla Svizzera tedesca esprime le sue perplessità anche in Ticino c’è forte attenzione e interesse intorno a questa questione.

Proprio la scorsa settimana durante la trasmissione “Piazza del Corriere” andata in onda su Teleticino, moderati dal giornalista Moreno Bernasconi – Filippo Lombardi, CEO di Teleticino, Giacomo Salvioni, presidente degli editori ticinesi di giornali, Giancarlo Dillena, direttore del Corriere del Ticino e Edy Salmina, capo dell’informazione della RSI, hanno discusso del ruolo e del futuro del servizio pubblico dell’informazione in Svizzera.

In breve, ciò che crea tensione, in un momento in cui la crisi economica e il calo della pubblicità persistono e le nuove tecnologie spingono al rinnovamento senza però suggerire forme di guadagno alternative a quelle tradizionali, è che il servizio pubblico radiotelevisivo, forte già del canone e di una grossa fetta del mercato pubblicitario, estenda ulteriormente il proprio monopolio togliendo spazio e ossigeno alle altre più piccole realtà mediatiche che non godono di aiuti statali e faticano a stare a galla con i mezzi propri. E’ proprio di ieri la notizia secondo la quale la Basler Zeitung indebitata per 106 milioni di franchi effettuerà a breve numerosi tagli all’organico.

D’altra parte, ha spiegato Edy Salmina durante il dibattito, la tv svizzera ha un mandato costituzionale preciso: mantenere alta la qualità e garantire lo scambio federale. E “credere che siccome ai giornali fa male una mano sarebbe meglio tagliare un piede alla SRG” non aiuta a risolvere la questione. Per quanto riguarda la strategia del canone ha poi precisato che è la tecnologia ad imporre questa riflessione poichè oggi grazie a internet si ha un’universale possibilità di ricevere i programmi, dunque di vederli non solo in tv  ma anche sul pc.

Argomentazioni valide che però non soddisfano editori e direttori della carta stampata che per respirare un pò e dunque poter continuare a garantire il pluralismo delle voci, in un contesto per altro già concentratissimo, chiedono un maggiore aiuto indiretto tramite tariffe postali preferenziali (che invece ogni anno minacciano di aumentare), una maggiore comprensione politica del sistema dei media, un atteggiamento più costruttivo della SRG e del suo neo direttore Roger de Weck nei confronti degli altri operatori affinchè di questa posizione di forza data e garantita per legge possano beneficiarne tutti.

Insomma  anche nella piccola, tranquilla e ricca Svizzera il paesaggio mediatico sta vivendo cambiamenti e turbolenze che lasciano intendere come non si possa continuare ad operare secondo vecchie logiche editoriali. Il rinnovamento tecnologico impone davvero una profonda riflessione che non esclude di cambiare e adattare al nuovo contesto le regole ereditate dal passato e dunque, se necessario, anche il mandato legislativo della SRG.

Come ha suggerito il direttore del Corriere del Ticino è venuto il momento di sedersi a un tavolo e discutere per trovare un accordo. Occorre una filosofia nuova che permetta un rimescolamento dei supporti e dei ruoli mediatici, una filosofia che permetta a tutti gli attori di continuare a convivere e competere nello stesso territorio ma a condizioni diverse. Per la SRG potrebbe voler dire ad esempio guardare al sistema duale britannico.

Serve dunque un patto per la comunicazione interno alla Confederazione che aiuti a garantire il pluralismo delle voci  e la qualità della democrazia. Un patto interno per contrastare le pressioni e le offerte esterne dei grandi competitor mediatici internazionali e delle grandi aziende come google ai quali, tra l’altro, da sempre fa gola il mercato pubblicitario elvetico.

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