Quanto costa la censura?

1 Febbraio 2006 • Etica e Qualità • by

Message Nr. 2, febbraio, 2006

Uno sguardo economico sui media e il giornalismo
Da qualche tempo, nell’ambito della ricerca sul giornalismo, la prospettiva economica sta acquisendo sempre maggiore importanza. Gli esperti, ad esempio, discutono se i giornalisti si comportino come commercianti quando valutano se investire o meno la propria risorsa scarsa risorsa, il tempo, nel trattare un argomento. Oppure quando calcolano costi e benefici di un’indagine giornalistica. O, ancora, quando vedono in un articolo un profitto in termini, per esempio, di incremento dell’audience o della tiratura.

I ricercatori che fanno riferimento alle scienze economiche non indagano solo la sublime immagine idealizzata del reporter, ossia colui che come unico pensiero ha il bene del pubblico. Essi tengono conto di nuove e avvincenti prospettive sui media. Stimoli di questa natura si trovano anche nel volume Economia dei media, da poco edito da Gerhard Hosp, in passato studioso di economia all’università di Friburgo e attualmente collaboratore del quotidiano Neue Zürcher Zeitung. Hosp, secondo una prospettiva economica, discute la concentrazione e censura dei media, e il rapporto tra PR e giornalismo.

Un esempio di censura: al contrario di molti accesi commentatori della stampa quotidiana, Hosp non si diverte a condannare le interferenze nella libertà dei media. Egli piuttosto osa un esperimento teorico che consiste nel calcolo razionale dei costi determinati da una censura alla stampa e degli utili che i censori sperano di ricavarne. Tutto ciò non è illustrato solo dall’esempio di regimi autoritari, ma anche nel caso dell’autocensura tipica delle società democratiche. Secondo questo ragionamento, all’inizio delle due guerre nel Golfo Hosp rileva negli USA una forte disponibilità dei cittadini ad appoggiare una censura nei confronti dei reportage di guerra e questo non solo per tenere nascoste al nemico importanti informazioni ma anche, e soprattutto, per minimizzare i «costi psicologici» che affiorano «quando possibili efferatezze compiute dal proprio esercito vengono rese note.» Nel riassumere la ricerca Hosp lancia domande appassionanti di intramontabile attualità. Si pensi per esempio all’autocensura dei media americani, spesso sotto accusa, che alla seconda ondata di foto di torture perpetrate nella prigione di Abu Ghraib ha reagito con grande freddezza.

Un esempio di concentrazione dei media: la diminuzione della concorrenza nel mercato dei giornali ha portato ad una diminuzione della qualità? Anche in questo caso, secondo una prospettiva economica nuova, Hosp fa luce su un acceso dibattito di lunga data. Con un esempio svizzero dimostra come l’impoverimento del panorama giornalistico ha portato ad investire sempre meno tempo nella lettura dei giornali. Minore la varietà, quindi, e maggiore l’insoddisfazione da parte del consumatore. Hosp offre inoltre una stimolante, anche se non facile lettura che subito invoglia, attraverso le lenti delle scienze economiche, a lanciare un nuovo sguardo su vecchi dibattiti sui media.

Gerald Hosp (2005): Medienökonomik. Medienkonzentration, Zensur und soziale Kosten des Journalismus. Konstanz: UVK Medien.

Traduzione: Natascha Fioretti

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