La crisi dell’Unione divide anche la stampa

10 Agosto 2011 • Giornalismi • by

Non ci è riuscita una Costituzione, affondata come una barchetta di carta nelle urne francesi del 2005, e non ci era riuscita la Grecia qualche mese fa: l’Europa non aveva lanciato cuore e confini oltre l’ostacolo, non l’aveva fatto la pubblica opinione. Ma il corto circuito innescato dall’esasperata Grecia e ancora da un’Italia sotto lo scacco dei mercati, passando per la Spagna in bilico, sembra aver reso possibile l’impensabile. E’ Jean Quatremer, corrispondente a Bruxelles per il quotidiano francese Libération, a titolare la svolta, con il suo Comment la crise grecque a fédéré l’Europe. Ciò che Angela Merkel avrebbe voluto evitare è invece inevitabile: quando una regione della zone euro sarà in difficoltà le altre dovranno venirle in aiuto. Ed è questa l’unica soluzione per l’Europa, sostiene il giornalista francese: una sua integrazione più profonda.

Dall’altra parte del canale della Manica, e sulla sponda opposta anche per tradizione di pensiero, il britannico The Economist fa il check up all’accordo raggiunto a Bruxelles. E parla di an uncertain fiscal union. Ma persino nel Paese dell’opting out, e nonostante le forti perplessità, già dal titolo si scorge una certezza nuova e diversa: non a caso l’editoriale sull’Europa datato 30 luglio si chiama How much closer a union? . Come a dire che un’Unione più integrata è già una certezza, mentre le perplessità sono sui modi, i tempi, l’intensità e gli esiti di questo processo. E il suo futuro, che anche altre testate di prestigio in Gran Bretagna dipingono assai a rischio. Il Financial Times è secco: The eurozone crisis is on pause, not over, titola Wolfgang Münchau, la cui analisi spietata non lascia molte chance all’Europa del futuro, economicamente (e non solo) parlando. E’ facile per l’Unione proporre piani che lasciano di stucco, perché la stessa Europa ha ridotto le nostre aspettative al minimo, ma poi cosa succederà?, scrive l’editorialista snocciolando le sue ragioni.

Ma qualcosa intanto è già successo.

E tornando sul continente, sbarcando di nuovo in Francia e spostandoci dalla sinistra di Libé al quotidiano orientato a destra Le Figaro, troviamo ancora una volta ribadito il concetto: qualcosa è cambiato, e cadono i tabù. I progressi sono disperatamente lenti ma reali, scrive Rousselin nel suo Euro: la chute des tabous. La crisi greca, con i rischi di contagio che trascina con sé, obbliga i dirigenti europei a mostrarsi stavolta audaci per salvare l’euro. Non resta quindi che sperare in un circolo virtuoso, conclude l’editorialista.

Il panorama dell’opinione pubblica in Italia non è distante da quello francese nell’apprezzare come necessaria la svolta politico-economica, e il dibattito sembra concentrarsi proprio per questo sui costi del ritardo con cui avviene tale processo. Un esempio in questa direzione è l’articolo di Bastasin sul Sole24 ore, La ragione prima dell’abisso, che evidenzia bene come i momenti di crisi siano anche – e ciclicamente – i punti di snodo per una svolta nel processo di integrazione.

In sintonia con questa interpretazione anche Romano Prodi, che nel suo commento per Il Messaggero, L’Europa, gli Usa e le crisi parallele, si spinge oltre sottolineando l’urgenza di un sistema politico europeo più vicino a quello americano, che consenta di navigare in acque più tranquille.

Tutti d’accordo quindi? La caduta dei tabù di cui scriveva Rousselin su Figaro sembra in realtà una conquista assai fragile e limitata, se allarghiamo lo sguardo. Conquistato infatti un nuovo dominio di politica condivisa, l’Europa – e la sua pubblica opinione – non abbandona ancora uno dei suoi tratti più stringenti. Nonostante la crisi renda necessario ciò che prima rimaneva oggetto di accesi e insoluti dibattiti, il lembo di terra nuova conquistato sembra nuovamente il campo per una battaglia già vista.

E’ infatti la dinamica tra potenze, e in particolare il gioco polemico tra Francia e Germania, a occupare ampiamente i tempi della discussione, accompagnata dal solito refrain della mancanza di una vera guida del progetto europeo.

In Germania l’accordo di Bruxelles piace poco e certamente non a tutti, ma soprattutto è il dibattito europeo nel suo complesso a metabolizzare con fatica le due politiche in contrasto, quella francese e quella tedesca. Il lungo negoziato tra i due paesi confinanti assume i contorni della contesa per la leadership di un’Europa che, politicamente parlando, è ancora intangibile.

Accade così che, mentre i giornali tedeschi mal digeriscono l’accordo appena raggiunto, oppure – nel caso dei più europeisti – accusano la Merkel di non avere alcuna vera visione sull’Europa, la Francia con Le Monde definisce “l’Allemagne exaspérante première de la classe” in un articolo recentissimo.

Anche nella penisola, in quell’Italia che come la Grecia non vorrebbe davvero immaginarsi, piovono crescenti accuse all’”egoismo tedesco”. E in tutto questo l’unione politica rimane ferma al varco, sventolando ben in vista i suoi più irriducibili tabù.

 

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