Due anni di crowdfunding per il giornalismo di guerra

7 Giugno 2016 • Giornalismi, Più recenti • by

 

isis
Sono passati due anni dal varo del progetto di crowdfunding Gli occhi della guerra, pensato da Il Giornale per finanziare dal basso reportage da zone di conflitto. La piattaforma ha fatto registrare dopo 24 mesi di operazioni un importante riconoscimento agli ultimi INMA Global Media Awards, il premio internazionale per il giornalismo innovativo. Gli occhi della guerra, unico progetto italiano candidato, ha infatti vinto il primo premio nella categoria “Miglior lancio di un brand”.

Gli occhi della guerra è stato lanciato, e continua a finanziarsi, tramite un’operazione di crowdfunding in cui sono i lettori stessi a scegliere e a sostenere i progetti di reportage che trovano più interessanti. Agli INMA Awards a Gli occhi della guerra è stato riconosciuto non solo il merito di aver saputo trovare e sfruttare un modello di business sostenibile, ma anche quello di essersi impegnato nella difesa del giornalismo di qualità. Grazie al sostegno dei suoi lettori, i giornalisti e i fotoreporter de Gli occhi della guerra hanno realizzato fin qui quasi 40 reportage, raccontando numerosi conflitti in atto nel mondo. Alla luce del riconoscimento ottenuto dal progetto, abbiamo abbiamo fatto il punto con Laura Lesèvre, Project Manager de Gli occhi della Guerra, sulla strada compiuta dalla piattaforma, sulle difficoltà ancora da affrontare e sul contributo apportato al giornalismo. Ecco la nostra intervista.

Il vostro modello di crowdfunding si è rivelato vincente per il lancio della piattaforma. Ma dopo più di due anni di esperienza, pensate che questo modello rimarrà efficace anche nel lungo periodo? Si può dire che la vostra sia una soluzione consolidata per salvare il giornalismo di qualità dalla crisi? Nel concreto: come stanno andando i finanziamenti?
“Il crowdfunding si è rivelato senza dubbio uno strumento efficace per due motivi: innanzitutto permette di realizzare progetti editoriali che altrimenti, complice anche la crisi economica mondiale e quindi quella dell’editoria, rimarrebbero nel cassetto dell’editore. Ma il crowdfunding è anche, se non soprattutto, un mezzo straordinario per rafforzare il rapporto con i lettori che sono la risorsa più importante di ogni testata. Da quando è iniziata l’avventura de Gli Occhi della Guerra abbiamo avuto modo di toccare dal vivo la fortissima fidelizzazione dei nostri lettori: capita spesso che soprattutto quelli più anziani ci chiamino per essere aiutati a pagare con carta di credito, disposti a darci anche numeri e scadenze, tanto è il livello di fiducia. Spesso, inoltre, la raccolta fondi si chiude con risultati che superano il budget prestabilito”.

“Senza dubbio questo successo è dettato anche dalla trasparenza con cui gestiamo i soldi raccolti: tutte le spese dei reportage sono rendicontate in un’area dedicata del sito. Per quanto riguarda la collaborazione con i reporter, invece, abbiamo sempre più richieste di giornalisti freelance che vogliono lavorare con noi. C’è in atto una vivace campagna di recruiting che sta portando ad avere un numero cospicuo di reporter e analisti. Questo rappresenta senza dubbio un’opportunità per i tanti giovani freelance costretti altrimenti a pagare di tasca propria le spese per andare all’estero”.

Nel 2013 avevate dichiarato di non escludere la possibilità di utilizzare, in futuro, una piattaforma internazionale, o di realizzare reportage in inglese. Ad oggi siete ancora aperti a questa prospettiva? Sono già stati fatti dei passi in avanti? Il vostro pubblico italiano è già pronto a vedere il progetto che ha contribuito a creare trasformato in una realtà internazionale?
“Certamente: il premio conferitoci da INMA rafforza ulteriormente questa nostra ambizione ad andare all’estero. Quando si parla del mondo, come facciamo a Gli Occhi della Guerra, l’orizzonte naturale di riferimento è quello globale: abbiamo già pubblicato articoli di analisti internazionali in inglese e italiano. Stiamo raccogliendo informazioni sulla possibilità di aprire una “succursale” oltre Manica. Londra ci ha portato fortuna una prima volta, chissà che ce ne porti ancora”.

Finora vi siete dedicati al tema delle guerre e degli esteri. Ritenete che la scelta di queste tematiche giochi un ruolo fondamentale nel successo del vostro modello di crowdfunding? O pensate che si possa applicare la stessa soluzione anche ad altri settori del giornalismo? Penso ad esempio al giornalismo d’inchiesta su storie di corruzione o di criminalità organizzata.
“Naturalmente il tema della guerra fa molto presa in quanto i reportage da zone di conflitto sono visti, a ragione veduta, come il fiore all’occhiello di un giornalismo che è oggi in via di estinzione. Come già sottolineavamo in occasione della conferenza stampa di lancio de Gli Occhi della Guerra nel febbraio 2014, crediamo che questo modello possa funzionare anche per temi che esulano dalla guerra in senso stretto. Il crowdfunding riserva sorprese interessanti: l’anno scorso, per esempio, abbiamo ampiamente coperto la raccolta fondi per l’India. Il tema in quel caso era l’analisi della tragica realtà delle donne sfregiate con l’acido e delle disuguaglianze sociali in quel Paese. Il crowdfunding altro non è che lo specchio del legame tra un giornale e i propri lettori: nel momento in cui, come è per il caso de ilGiornale.it, questo rapporto è all’insegna della fiducia e della trasparenza, i lettori  si sono dimostrati disposti a sostenere in maniera attiva un giornalismo di approfondimento, a prescindere dal tema”.

Il successo de Gli occhi della guerra si basa soprattutto sul coinvolgimento diretto dei lettori, con il quale i giornalisti della piattaforma mirano a creare un rapporto di fiducia. Nel 2013 avevate detto che vi sarebbe piaciuto coinvolgere il pubblico ancor di più, rendendolo partecipe del processo d’ideazione. Ci state riuscendo? Come vi state muovendo a questo proposito?
“Oltre a rispondere a ogni singola donazione che riceviamo con un messaggio personalizzato, abbiamo un rapporto diretto con moltissimi dei nostri sostenitori. Molti vengono in redazione dove li invitiamo a passare una giornata per conoscere il nostro team; con molti abbiamo organizzato mostre e conferenze. Inoltre, da una singola donazione è nato un progetto di collaborazione con un gruppo di club del Rotary che sta finanziando i nostri reportage. In redazione, poi, organizziamo incontri con importanti personalità della scena internazionale a cui i lettori possono rivolgere domande dirette”.

Il pubblico si è dimostrato interessato alla vostra offerta: ha finanziato il vostro lavoro per accedere a quei pezzi di realtà – come voi stessi li definite – che volete mostrargli. Questo anche in un contesto globale in cui la stampa è spesso alle prese con il problema del dare voce o meno al fenomeno del terrorismo e agli orrori della guerra. È vostra opinione che il pubblico abbia dimostrato di preferire un’informazione che mostra tutto senza censure, o si tratta della domanda di una nicchia ancora ristretta?
“Se un tempo i mezzi per essere informati erano pochi, l’insorgere di blog tematici, social media, siti di approfondimento underground hanno reso le maglie dell’informazione ufficiale sempre più labili. La voglia di conoscere e di capire da parte del pubblico è crescente: offrire un’informazione diretta e senza filtri se non solo quella dei reporter – tutti freelance, non legati quindi ad una testata particolare- è assolutamente una scelta vincente in uno scenario in cui le notizie sono spesso ancora mediate e strumentalizzate”.

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