Crisi dei giornali, ma è davvero tutta colpa di internet?

14 Gennaio 2011 • Giornalismo sui Media • by

Esiste una naturale tendenza a considerare la progressiva diminuzione del numero di lettori della carta stampata una conseguenza diretta della concorrenza esercitata da internet: perché comprare il giornale se uguali notizie possono essere trovate in rete?

Eppure è utile ragionare cercando di andare al di là di quelle che appaiono spiegazioni troppo semplicistiche, o quanto meno parziali. E’ vero, internet ha indubbiamente contribuito a determinare la perdita di una quota di lettori, ma è altrettanto vero che occorre analizzare il contesto dell’informazione giornalistica nella sua complessità per meglio comprendere i motivi della crisi della stampa italiana.

L’effetto internet non è per noi così travolgente come dimostra essere negli Stati Uniti. La disponibilità di accesso in banda larga e l’utilizzo intensivo delle nuove tecnologie e dei nuovi media sono infatti più contenuti rispetto a quanto avviene in altre parti del mondo industrializzato. Continua a esistere un digital divide, un divario consistente tra chi usa e non usa internet, che determina una debole accelerazione nell’accesso alle tecnologie da parte della popolazione italiana. Esiste poi un fattore culturale che alimenta una certa ostilità e diffidenza, soprattutto nella fascia delle generazioni più anziane, verso i nuovi mezzi di comunicazione.

Quanto centra internet con la crisi dei giornali. Centra, ma fino a un certo punto. Secondo quanto emerge dall’indagine Istat, Cittadini e nuove tecnologie – 2010, Internet rimane principalmente luogo di aggregazione e di social networking e la ricerca di informazioni riguarda soprattutto questioni di tipo tecnico e pratico.  L’italiano insomma continua a informarsi soprattutto attraverso la tv. E la percentuale di italiani che si connettono a internet per leggere e scaricare giornali, news e riviste è del 44%. L’Italia – si legge nel rapporto Istat – continua a rimanere indietro rispetto a molti dei paesi dell’Unione europea sia rispetto al possesso di Internet sia rispetto alla qualità della connessione. Il nostro Paese, infatti, si colloca al ventesimo posto sia per quanto riguarda il possesso di Internet da casa (con un tasso di penetrazione tra le famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni del 59% rispetto alla media europea del 70%) sia per l’accesso mediante banda larga (con un tasso di penetrazione del 49% rispetto alla media europea del 61%).

Se, quindi, il fattore internet come causa del calo endemico delle copie vendute deve essere in parte ridimensionato, quali sono le ragioni che possono avere determinato la generalizzata riduzione del numero di lettori? Ad essere messe in gioco sono soprattutto la credibilità e l’attrattiva dei giornali, costantemente diminuite per un clima di crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. I giornali e i giornalisti hanno perso e continuano a perdere credibilità. Nell’intervista ad Alexander Stille, giornalista, scrittore e docente alla Columbia University, pubblicata sul sito de Il Fatto, si analizzano le criticità attuali dei giornali e si punta il dito contro un’informazione tutta agganciata alla politica. I quotidiani italiani – afferma Stille – non sono fatti per i lettori, ma per i politici. C’è un bellissimo saggio dell’inizio degli anni ‘50, scritto da Enzo Forcella, che s’intitola 1500 lettori. Già allora si diceva che la stampa italiana non era pensata per informare i cittadini, ma ad uso e consumo di un ristretto gruppo di persone: i potenti. Ministri, prelati, imprenditori. Questo è sempre vero, purtroppo. Ed è così a sinistra come a destra.

Secondo Stille in questi ultimi anni l’effetto Berlusconi ha piegato i giornali a un’informazione che fa leva su uno stile a effetto che mortifica la qualità giornalistica. Questo modo di fare informazione fa comodo a molti. È uno degli aspetti, purtroppo geniali, di Berlusconi: da anni offre una forma di intrattenimento quotidiano. Vive sulle battute, sui commenti oltraggiosi, sulle gaffe. Usa i suoi passi falsi e gli scandali come diversivo. Una distrazione dai problemi veri del Paese. La differenza tra il Paese sul giornale e il Paese reale è la causa del crollo di vendite dei quotidiani? In parte sicuramente sì, risponde Stille, perché se scrivi per 1500 lettori, tutti gli altri si sentono trascurati. O peggio, presi in giro. E comunque se tu non hai letto la prima puntata di una qualunque storia, è impossibile nei giorni seguenti capirci qualcosa…. non si riassume mai la vicenda. E poi i nomi, si dà sempre per scontato che la gente li sappia tutti. Ma bisognerebbe mettersi nei panni di una persona normale. Che si occupa d’altro durante la giornata e che va in edicola per sapere cosa succede a casa sua e nel mondo.

Altro luogo comune riguardo alla crisi dei giornali: si continua a citare la scarsa propensione dei giovani alla carta stampata e si dà per scontato che questo sia un fenomeno del tutto nuovo, alimentato soprattutto dalla rete. Eppure la situazione non è più di tanto diversa da quanto avveniva negli anni novanta quando ancora i giornali non accusavano una diminuzione di lettori. Come testimoniato da un articolo del 1998, reperito dall’archivio storico del Corriere della Sera, nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni, solo un misero 18 per cento leggeva un quotidiano più volte alla settimana.

Allora, nel 1998, quando ancora internet non era ciò che è diventata oggi.

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