Il giornalismo digitale può fare profitti?

19 Luglio 2011 • Digitale, Giornalismo sui Media • by

*EJO STUDENT’S CONTRIBUTION

Un rapporto della Columbia University propone una analisi innovativa dei modelli di business del giornalismo digitale americano

Bill Grueskin, decano della Colombia Graduate school of Journalism, e Ava Seave, principale responsabile dell’azienda di consulenza Quantum Media e assistente professore alla Columbia Business School, si sono interrogati sui risultati economici del giornalismo digitale in un rapporto intitolato The Story So Far: What We Know About the Business of Digital Journalism pubblicato dalla “Columbia Journalism Review” lo scorso maggio. Questa nuova ricerca si inserisce nella linea tracciata dal rapporto The Reconstruction of American Journalism scritto nel 2009 da Leonrad Downie e Michael Schudson, che aveva suscitato un grande interesse nell’ambito del giornalismo.

Questo nuovo studio cerca di dare risposte ai quesiti che scuotono tutto il comparto dell’editoria e dell’informazione proponendo dei modelli di business efficienti che funzionino per il giornalismo digitale e che siano in grado di realizzare profitti. Se fino ad ora la ricerca si era fermata al mettere in luce i problemi, questo nuovo contributo della CJR sembra iniziare un discorso sulle risposte, avanzando proposte e soluzioni.

Con un’inchiesta che considera alcune strategie intraprese da compagnie che fanno profitti nell’ambito digitale, il rapporto analizza  diversi modelli di business, basati sia sulla pubblicità che sul Paywall e sull’aggregazione, vedendone i risultati. Tutti gli aspetti dell’economia digitale sono trattati per dare al lettore una visione la più completa possibile del mondo del giornalismo digitale e delle sue specificità. L’analisi, che allo stato delle cose è la più completa mai realizzata sull’argomento non manca di prendere in considerazione anche  le audience digitali, le nuove piattaforme, modelli alternativi e le dimensioni giuste per le imprese, fornendo un quadro completo sullo stato dell’arte del giornalismo digitale.

Lo scopo del rapporto è quello di fornire strumenti di riflessione agli attori del giornalismo digitale per aiutarli a seguire le evoluzioni sia tecnologiche che economiche del loro settore. In un contesto economico americano e mondiale difficile, la tendenza attuale è rischiare il meno possibile, cercando di adattare le tecniche del giornalismo tradizionale al Web. Questo impedisce al prodotto editoriale digitale di fruire al meglio delle possibilità offerte da Internet e dalle nuove tecnologie. Il giornalismo digitale deve quindi allontanarsi dai sui antenati, il giornalismo cartaceo e televisivo, per rinnovarsi nelle tecniche e negli per trovare un suo sviluppo indipendente. Solo cosi può diventare profittevole. Il report della CJR suggerisce diversi percorsi di riflessione attraverso tre ambiti che devono differenziarsi dal giornalismo classico: il prodotto giornalistico di per sè, il marketing, e la pubblicità.

Per creare valore economico, il giornalismo digitale deve valorizzare le sue specificità. Adattare contenuti esistenti provenienti da ambiti offiline non conviene, mentre sviluppare contenuti nuovi deve rappresentare la strategia di lavoro nel mondo connesso. Ciò presenta due vantaggi: dare valore al contenuto digitale rendendolo specifico ed evitare un auto concorrenza con il giornalismo tradizionale. La nozione di integrated newsroom deve essere adattata a questo imperativo, per proporre contenuti digitali innovativi e diversi.

Il giornalista digitale deve quindi acquisire nuove aree di competenza. Oltre alla funzione di editore digitale, i giornalisti devono inoltre conoscere le loro audience potenziali e esistenti per capitalizzare e aumentare il traffico sui loro siti. I giornalisti devono partecipare all’elaborazione di un prodotto adattato alle esigenze del mercato pubblicitario digitale. Fino a oggi la maggior parte delle imprese mediali ha tentato solo di aumentare il numero di lettori senza preoccuparsi di fidelizzare il loro pubblico, fattore invece cruciale per l’investimento pubblicitario. I giornalisti digitali devono quindi essere anche marketers, anche se questa funzione può presentare alcuni rischi etici.

Il settore della pubblicità online deve essere a sua volta interamente rifondato. Il rapporto critica il sistema impression-based che esclude l’ambito dei social-media, dei motori di ricerca e di tante altre innovazioni del web 2.0, difficili da misurare con i mezzi tradizionali. Anche l’ambito pubblicitario deve essere adattato alle specificità del mondo web per diventare più profittevole. In questo senso, tocca alle compagnie mediatiche digitali conoscere il loro mercato pubblicitario per potere aumentare il loro potere contrattuale rispetto le agenzie pubblicitarie.

Il report raccomanda di instaurare un modello di business che rompa col modello del giornalismo tradizionale. Il giornalismo digitale non deve essere solo un elemento aggiuntivo di quello cartaceo ma deve proporre un’esperienza diversa e arricchita per diventare un prodotto attrattivo sper i clienti e per gli investitori pubblicitari. Non è un caso che il rapporto consigli la creazione di reparti digitali separati, soprattutto al livello economico. Ci si può quindi chiedere se il giornalismo digitale riuscirà a distaccarsi dei concetti di integrazione delle newsroom cosi come dal “Chinese Wall” per diventare un attività redditizia. In ogni caso, Bill Grueskin e Ava Seave hanno fatto un primo passo in questo senso.

* Questo articolo è stato scritto da uno studente nell’ambito del corso di “Giornalismo dei media” tenuto dal prof. Stephan Russ-Mohl presso la Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana

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