Redazioni no profit: difficile valutarne impatto e risultati

19 Agosto 2013 • Giornalismo sui Media • by

“L’arte, la scienza ed il mistero della valutazione delle notizie no profit” è il titolo di una ricerca pubblicata lo scorso mese di Luglio, dall’Investigative Reporting Workshop dell’American University School of Communication, a cura di Charles Lewis e Hilary Niles. Il titolo ben introduce il difficile scenario nel quale lo studio si è sviluppato, le informazioni raccolte, i risultati ottenuti: obiettivo primario della ricerca era rispondere alla domanda “Che tipo di risultati producono le redazioni no profit e come questi risultati possono essere misurati in modo coerente?”

La ricerca, come il titolo stesso suggerisce, non giunge a una conclusione univoca, ma pone ulteriori domande e formula una serie di linee guida per la valutazione delle organizzazioni giornalistiche senza scopo di lucro. La difficoltà di analisi è in primis rappresentata dalla grande varietà di organizzazioni editoriali no profit che sono nate nell’arco degli ultimi 20 anni negli Stati Uniti. Queste si differenziano per tipologia di pubblico, prodotti editoriali differenti, diverse modalità di sostenibilità economica (senza fini di lucro) e un ampio arcipelago di fondazioni, filantropi e sostenitori. Tutti gli attori di questo scenario, soggetti finanziatori e finanziati, svolgono questa attività “per fare del bene”, fornire, ovvero, informazioni di vitale importanza e per informare meglio i cittadini, ed entrambi vogliono sapere in che misura vi stanno riuscendo. Ma, finora, un chiaro meccanismo per misurare l’impatto delle notizie no profit non è stato individuato.

Per rispondere a questo interrogativo appare del tutto inadeguato, come ormai anche per il mondo del profit, il vecchio schema di misurazione dei visitatori o delle pagine viste, incapace di rispondere a una tale varietà di offerta e di lettori. Come può, ad esempio, essere comparato, secondo la metrica del numero di visite, un articolo su un incontro per la pianificazione territoriale alla pagina Internet di un atleta famoso? O ancora, il tempo di permanenza su un sito, può rappresentare l’effettivo interesse del lettore o, al contrario, rappresentare la sua difficoltà nel reperire le informazioni cercate?

Secondo lo studio, la valutazione dell’impatto per le redazioni no profit deve prescindere da tali arcaici e impropri sistemi di valutazione e riferirsi agli effetti sociali dell’attività informativa svolta, considerando la tipologia di prodotto offerto e le specificità della comunità a cui sono destinate le notizie. Il tutto tenendo sempre come riferimento la natura stessa del tipo di informazione offerta, che va intesa come un servizio sociale e considerata la mancanza di una finalità lucrativa. Tali effetti vanno misurati secondo i metodi collaudati delle scienze sociali, partendo dagli effetti sui singoli individui per giungere a valutazioni più ampie sulle comunità di cui essi fanno parte.

È necessario che le organizzazioni no profit definiscano dei criteri comuni di valutazione, sebbene il medium digitale, per quanto ricco di informazioni dettagliate, appaia tutt’atro che decifrabile in maniera semplice e chiara. Uno studio del Tow Center for Digital Journalism della Columbia University di qualche anno fa dimostrava come i tradizionali strumenti di analisi commerciale di valutazione delle aziende editoriali, basati su algoritmi diversi uno dall’altro, portino a risultati anche contradditori: “quello che è presumibilmente il mezzo più misurabile nella storia (Internet, nda) è afflitto da un groviglio spaventoso di standard incompatibili e risultati contraddittori“. Il problema si ripercuote ovviamente anche sulla valutazione delle organizzazioni no profit.

Pertanto, la definizione di questi criteri comuni deve necessariamente passare attraverso l’individuazione chiara di alcuni indicatori, quali la specificità, l’osservabilità, il periodo di riferimento o la pertinenza. Una strada percorribile può essere la collaborazione con altre redazioni con obiettivi simili per sviluppare quadri di valutazione comuni risparmiando tempo e risorse, seguendo esempi di analisi “rigorosa”, come quelli proposti da Lauren Hasler del Wisconsin Center for Investigative Journalism, i cui metodi sono condivisi dall’Investigative News Network, un network di 82 organizzazioni editoriali no profit, per aiutare le altre redazioni a sviluppare il proprio quadro personalizzato.

Definire un percorso chiaro per la valutazione di queste organizzazioni appare arduo e articolato, ma necessario. Quello che per il mondo dell’editoria profit di questi tempi è incerto e oscuro, la fonte di reddito e il cosiddetto “business model”, per il no profit sembrava invece essere una certezza. Ma adesso che il numero delle organizzazioni è cresciuto, appare indispensabile definire criteri di valutazione chiari e obiettivi, che possano rassicurare i finanziatori sulla efficacia dei loro investimenti. Il che potrebbe lasciare intendere, in qualche modo, che anche i tempi d’oro del giornalismo no profit d’oltreoceano stiano terminando.

Photo credits: Pixabay / Public Domain

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