Ancora due settimane e la proposta di legge che contiene nuove regole sull’utilizzo di Internet in Turchia, approvata il 6 febbraio scorso dal Parlamento, potrebbe diventare definitiva, introducendo disposizioni che da più parti sono state definite come una censura di Internet, un’offensiva voluta dal primo ministro Recep Tayyp Erdogan in risposta agli scandali per corruzione scoppiati nello scorso mese di dicembre e che hanno investito il suo governo.
La restrittività di questa legge è data soprattutto dal potere affidato all’Autorità turca per le telecomunicazioni di oscurare nell’arco di 4 ore e senza l’intervento di alcun organo giudiziario contenuti che si ritiene violino la privacy, mentre l’accesso ai siti Internet può invece essere bloccato entro 48 ore su ingiunzione di un giudice. Inoltre, la legge lascia spazio alla possibilità di raccolta di dati sensibili da parte delle autorità. Tutelare minori e privacy è la “ragion pura” addotta a sostegno della proposta di legge che – dopo le violenze intimidatorie nei confronti dei giornalisti avvenute nelle scorse settimane – ha scatenato nuove proteste e scontri in piazza Taksim tra polizia e manifestanti nella giornata di sabato 8 febbraio. L’opposizione alla legge ha coinvolto anche il web con un tam tam digitale che ad oggi continua a gridare incessantemente “giù le mani da Internet”, #internetimedokunma, mentre petizioni e appelli vengono rivolti al presidente Abdullah Gul, affinché ponga il veto sulla legge.
Günün en anlamlı fotosu #internetimedokunma pic.twitter.com/7Q8jVviri6
— Suat Alkan Aldan (@suataldan) 8 Febbraio 2014
Contro il provvedimento si sono scagliate le opposizioni turche, il Partito popolare repubblicano (Chp) in primis, i movimenti civili e anche l’Associazione degli industriali del paese. Al di fuori dei confini nazionali, il provvedimento non è visto bene né dall’Europa, né dagli Stati Uniti. Sempre più sbiadita è anche la bandiera di coloro che vedevano nella Turchia un modello da replicare altrove in Medio Oriente. “La Turchia è un paese più libero di altri paesi europei” e “io sono il primo difensore della democrazia” ha sostenuto il premier Erdogan in esclusiva ai microfoni dell’emittente panaraba Al Jazeera English. Una visione diametralmente opposta al quadro delineato da Reporter Without Borders che, nella classifica mondiale della libertà di stampa, pone la Turchia al 154° posto con una discesa che segna un calo di 6 posizioni rispetto all’anno precedente. Inoltre sono più di 160 i reporter ad oggi detenuti nel paese.
È questo lo scenario in cui si inserirebbero le nuove norme sull’utilizzo della rete, con il rischio di aggravare una situazione che vede la libertà di espressione già abbastanza compromessa nelle sue fondamenta dall’autocensura, diffusamente praticata da editori e giornalisti. Una dimostrazione emblematica della diffusione di questo fenomeno si è avuta nel giugno del 2013: mentre la Cnn trasmetteva le proteste di Gezi Park, la sua versione locale Cnn Turk mandava in onda un documentario sui pinguini.
Prime minister of Turkey:”Yes we ban” @korsanparti #SayNo2Censorship in #Turkey #SansureDurDe #internetimedokunma pic.twitter.com/RBNFrOe86m
— Zwange Embemba (@sevketuy) 8 Febbraio 2014
La Electronic Frontier Foundation, organizzazione che si occupa di promuovere i diritti digitali, riepiloga gli interventi normativi che dal 2007 ad oggi si sono susseguiti, aumentando i controlli sul web e restringendo sempre più la libertà di espressione nel cyperspazio in Turchia. Tra i più eclatanti figura il blocco di YouTube per ben due anni, dal 2008 al 2010, per la diffusione di video contro Ataturk. In relazione alla proposta di legge appena approvata e al maggior potere in capo all’Autorità turca per le telecomunicazioni, un dato interessante riguarda la modalità con cui si arriva alla censura dei contenuti Internet: già nel 2011 nell’80% dei casi è stata frutto di un provvedimento dell’organismo di controllo, mentre solo nel 20% il blocco è avvenuto come esito di un procedimento giudiziario.
“Nel nostro tempo Internet e libertà sono parole che si identificano l’una con l’altra – scrive Serkan Demirtas, editorialista del giornale indipendente Hurryet – le restrizioni all’uso di Internet sono un indicatore che incide sul livello di libertà di cui gode un paese”. Demirtas pronostica una nuova “Gezi” se la legge verrà approvata e sottolinea che “la reazione più significativa potrebbe venire dai giovani, per i quali Internet è già uno stile di vita”. Il riferimento è ai nativi digitali, quelli “che cambieranno il mondo” – come sostiene l’economista e manager Don Tapscott, nel suo libro Net Generation –, abituati all’esperienza più che alla contemplazione, a confutare, a smontare (e rimontare) le tesi. A criticare sostanzialmente.
Critica e autoritarismo non possono non entrare in collisione, proprio in virtù di quell’autoritarismo che contraddistingue la volontà del premier Erdogan più di ogni motivazione politica. Allo stesso tempo, la Turchia sta vivendo profonde trasformazioni legate alla diffusione delle tecnologie e dei nuovi media. È uno dei paesi con il maggior numero di nativi digitali, pari al 25% della popolazione, ed è tra i maggiori fruitori di Internet: otre il 47% della popolazione, infatti, possiede una connessione Internet a casa, con un livello di attività online che porta la Turchia a essere sesta in Europa e tredicesima al mondo.
Photo credits: Dem’li Oralet / Flickr CC
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