Intervista al blogger Fabio Chiusi
Fabio Chiusi è blogger e giornalista. Nella blogosfera italiana è noto soprattuto per il suo blog IlNichilista da cui commenta l’attualità con occhio attento alla Rete e ai meccanismi dei media. Digital Dissidence è il suo nuovo progetto, un Tumblr dedicato alla libertà in rete e alla dissidenza digitale. La libertà di Internet è un tema che troppo spesso, salvo quando legata ai grandi scenari internazionali, sfugge ai media maistream italiani per miopia e carenze strutturali. Fabio Chiusi aggrega notizie provenienti dalle testate internazionali di tutto il mondo, offrendo quotidianamente una rassegna stampa ragionata su questi temi. Primavera araba, Russia, Bahrein, ma anche Australia e la Vecchia Europa: Internet è spesso sotto attacco e sempre più spesso in modo sottile, mai esplicito. Abbiamo chiesto a Fabio Chiusi di raccontarci il suo nuovo progetto e i punti caldi della libertà di espressione in Rete: dalla Russia a WikiLeaks.
Da cosa nasce l’idea di aprire un blog come Digital dissidence?
“Nasce prima di tutto da interesse personale, dall’esigenza di mettere ordine su un tema che mi sta particolarmente a cuore ma che non riuscivo bene a inserire all’interno dei luoghi dove abitualmente mi esprimo, dal blog (ilNichilista) alle testate con cui collaboro. Poi ho pensato che un Tumblr, cioè un blog per sua stessa natura molto rapido nell’utilizzo, avrebbe fatto al caso mio. E che forse avrebbe potuto interessare anche ad altre persone, appassionate come me dell’argomento e non”.
Finora il blog ha aggregato notizie e articoli provenienti da altre testate. La formula si evolverà o è tua intenzione fornire una rassegna stampa sul tema?
“Per ora resterà una rassegna stampa ragionata di pezzi altrui. Con la formula creata spontaneamente all’inizio: link alla fonte in testa e parti più significative dell’articolo riportato in evidenza. Spero di sviluppare abbastanza competenze da poter proporre ragionamenti e notizie mie al più presto. La lingua resterà in ogni caso sempre e solo l’inglese, perché il tentativo è di raggiungere un pubblico il più vasto possibile”.
Credi che da parte dei media mainstream italiani vi sia una sottovalutazione della censura di Internet?
“Credo che ci sarebbe molto più da dire. Che il tema meriti una trattazione approfondita e competente, perché di capitale importanza da svariati punti di vista: economico, per le ripercussioni negative che la censura ha sullo sviluppo e l’innovazione; umano, per gli abusi, le violenze, le violazioni dei diritti umani che devono subire i dissidenti; sociologico, per gli spunti di riflessione sul nostro vivere collettivo che questi temi quotidianamente propongono. Ma per farlo con costanza e coerenza servono spazi che attualmente sui media italiani più importanti non ci sono”.
Quali sono i contesti politici e i paesi in cui la dissidenza digitale è più al centro dell’attenzione?
“Si parla più spesso di quelli che Reporters Without Borders chiama “i nemici della Rete”. E quindi Cina, Iran, Bahrein, Birmania e altri regimi autoritari, non ultima la Russia – come dimostrato dal recente caso della repressione delle proteste per le elezioni farsa. Al centro dell’attenzione sono anche i paesi della cosiddetta ‘primavera araba’, su cui non sono ancora riuscito a formulare un giudizio definitivo. E anche democrazie che hanno comportamenti o tendenze poco democratiche: dall’Italia agli Stati Uniti, passando per Francia, Corea del Sud e Australia. In quest’ultimo caso la censura non raggiunge di norma i livelli di repressione anche fisica che si verificano nei regimi autoritari. Ma si sceglie una scusa per imporre norme dagli effetti fortemente negativi per la libera espressione e per l’internet economy. La più gettonata è proteggere il diritto d’autore, come testimoniano i recenti casi della delibera Agcom in Italia e della SOPA (Stop Online Piracy Act) negli Stati Uniti”.
Pensi che la Rete italiana corra rischi di censura? Alcune iniziative recenti hanno destato non poca preoccupazione.
“Penso che sia in atto una battaglia per la libertà di espressione in Rete di proporzioni planetarie. E sì, sono preoccupato: temo che i cittadini digitali – nel loro complesso – la stiano perdendo. Non perché non si trovino modi per aggirare la censura. Ma perché i governi propongono metodi censori sempre più sofisticati. Che richiedono, cioè, sempre maggiore consapevolezza nell’utilizzo degli strumenti per aggirarli. Ecco, sono preoccupato perché non vedo diffondersi questa consapevolezza, in particolar modo in Italia. E né i governi né i media sembrano in grado di colmare il vuoto, al momento. Quindi sì: la rete rischia di finire vittima della censura, pur se in diversi modi e in diversi gradi nel mondo. In Italia siamo nel Medioevo infrastrutturale e culturale, ma forse con la fine del governo Berlusconi IV il peggio è passato. Forse. È comunque nostro dovere difendere la libertà del web. Ora e con tutte le forze”.
Nel 2011 Twitter ha vissuto il suo anno di maggiore crescita, anche in Italia. Credi che possa essere, insieme ai social media in genere, uno strumento efficace per sfuggire alla censura online? Se ne è parlato molto, ad esempio, in relazione alla Primavera Araba. Ma le opinioni a riguardo sono molto discordanti.
“Difficile fare una valutazione generale. La sensazione è che Twitter sia servito sia ai dissidenti che ai regimi, anche se forse in misura maggiore ai primi. Il dibattito sull’argomento è aspro, e ci sono studiosi ben più preparati di me che combattono a suon di argomenti molto validi. Penso serva ancora del tempo per dare una risposta definitiva, anche se fin da ora posso dire che entrambi gli atteggiamenti ‘estremisti’ (da un lato, il tecno-utopismo, dall’altro un eccesso di cinismo) sono deleteri. Anche se, per natura, preferisco propendere per un eccesso di prudenza. Non si sa mai”.
Sei autore di Nessun segreto – Guida minima a WikiLeaks. Cosa sarà di Wikileaks? Il whistleblowing è un nuovo standard con cui il giornalismo dovrà imparare a convivere?
“Le sorti di WikiLeaks sono legate alla qualità della vita democratica negli Stati Uniti. Se Julian Assange sarà effettivamente estradato negli States e incriminato per spionaggio – come teme – allora vorrà dire che saremo tutti un po’ meno liberi. Credo – e l’ho scritto nel libro – che anche se WikiLeaks dovesse scomparire, la lezione che ha dato al mondo resterà: un modo per utilizzare Internet per far sgorgare i segreti del potere proteggendo l’anonimato delle fonti esiste, e funziona. Per il giornalismo credo sia una sfida: si tratta di capire come trattare rapidamente moli enormi di dati, senza sacrificare gli usuali criteri di professionalità, verifica e contestualizzazione delle notizie e avendo bene in mente la differenza tra gossip e interesse pubblico. WikiLeaks ha dimostrato che, entro certi limiti, si può fare senza i media tradizionali – ma anche che superati quei limiti l’insieme di competenze di quei media è ancora indispensabile. Se posso, aggiungo un fattore che mi ha stupito: la quasi totale mancanza di solidarietà dei giornalisti ad Assange per gli attacchi – anche volgari, violenti – che ha subito. Dopotutto, per quanto alcuni fatichino ad ammetterlo, è un collega. Solo che non lavora per una delle testate a cui sono abituati a portare rispetto. Una miopia che, in tutta onestà, non riesco a digerire”.
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