Le idi di marzo: politica e giornalismo al cinema

30 Dicembre 2011 • Etica e Qualità, Media e Politica • by

*Difficile, difficilissimo fare un film sulla comunicazione negli anni ’10 del 2000. Complesso lo scenario da rappresentare, ineffabili le dinamiche che lo caratterizzano, scarsi i modi di trasferire in immagini un universo che è virale per sua stessa definizione, dominato da byte e Url dove persino la carta inizia a essere quasi anacronistica.

Le idi di marzo, l’ultimo film di George Clooney da regista, parla della campagna elettorale di un candidato alle primarie democratiche negli Usa ma contrariamente a molte altre pellicole politiche non vuole essere un biopic di finzione incentrato su un personaggio carismatico che, infine, diventa Presidente. Questo film ha come protagonista la comunicazione politica e un addetto stampa – Steven, interpretato da un magistrale Ryan Gosling reduce dalla spietata bellezza di Drive – e riesce nell’intento non scontato di rendere il discorso credibile e trascinante, coniugando un terreno specialistico e, ammettiamolo, un po’ nerd, con la costruzione di un film godibile e visivamente potente, che potrà piacere agli appassionati di politica, comunicazione e giornali come al grande pubblico di Clooney.


La pellicola recente più vicina, per temi, messa in scena e regia a Le idi di marzo è senza dubbio The social network di David Fincher dello scorso anno, un film che a sua volta esplorava un protagonista di primo piano del mediascape contemporaneo trovando, al contrario che nel nuovo Clooney, nel biopic una via funzionale e ben riuscita di narrarlo. Le idi di marzo, al contrario, mette in scena ambiti e relazioni, prima che personaggi e figure: c’è la politica – rappresentata dal governatore Mike Morris / George Clooney -, c’è la comunicazione politica – oltre a Gosling, da applausi anche Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti; ci sono i giornali con la cinica Ida del New York Times / Marisa Tomei e non ci sono personaggi puliti. I media influenzano l’andamento della campagna e i media sono influenzati dalla campagna e il film non fa sconti a nessuno: “Che cos’è una velina?” chiede la fino a quel momento innocente stagista Molly (Evan Rachel Wood) a Steven / Ryan Gosling: “Un quintale di merda che mettiamo sui giornali domani”.

La politica e l’idealismo di Morris svelano il loro volto ambiguo, l’idealismo e l’abnegazione del lavoro di Steven si tramutano in spin, non ci sono amici e non ci sono accordi possibili, nessuna stretta di mano. A rendere il film così convincente è l’assenza di qualsivoglia tentativo di stereotipizzazione o di forzatura di tratti: nessuno dei personaggi è immediatamente inquadrabile o tratteggiato in modo piano e allo stesso modo anche la messa in scena dei contesti, sopratutto quello tecnologico, è credibile e realistica. Fare un film su questi temi avrebbe potuto passare attraverso l’affollamento della scena di gadget, device, smatphone, computer (terreno fertilissimo per un product placement d’assalto), ma anche in questo il film raggiunge standard alti: non c’è enfasi né tipizzazione eccessiva. Anche i riferimenti ai blog, detestati da tutto lo staff della campagna di Morris, compaiono: come entità elusive, imprevedibili, spine nel fianco.

Come ne escono i giornali e i giornalisti? Deboli e forti allo stesso tempo, prima influenzatori e poi influenzati. Steven crede di averli in mano, poi si ritrova lui stesso vittima del suo stesso potere, quando questo gli si rivolta contro portandolo al centro di uno scoop ordito da Ida Horowicz, la corrispondente del New York Times che credeva sua amica. Punto forte del film è anche il non dare risposte definitive su chi sia l’agenda setter di chi tra stampa e politica pur riuscendo a dare uno spaccato chiaro di come il rapporto tra i due settori sia spesso tutto fuorché lineare e limpido. Non ci sono modelli di etica assoluta in uno schema buoni/cattivi. Non ci sono reporter integerrimi che salvano l’interesse pubblico denunciando le zone d’ombra della politica. Come dicevamo, da Le idi di marzo nessuno esce pulito. Ma nessuno condannato. Il film si limita a osservare e il finale ne è la rappresentazione perfetta: “Niente stampa oltre questa linea. E lei è stampa”.

Ma oltre quella linea ci saranno un microfono e una telecamera. E una nuova intervista cui rispondere.

* Non siamo soliti pubblicare recensioni o critiche cinematografiche ma questa volta, visto il periodo e visto l’argomento, abbiamo pensato di fare un’eccezione.

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