Secondo la definizione offerta dal dizionario etimologico sociale è ciò che riguarda la società mentre sociabile è colui che ama la compagnia, quello che normalmente chiamiamo socievole.
E’ una distinzione che ovviamente non è squisitamente semantica, le cui implicazioni, sono riassumibili nell’idea che, appunto, sociale non significhi solamente fare amicizia, essere amici, ma riguardi la società nel suo insieme.
Si tratta in buona sostanza di un difficile equilibrio che si basa su economia, politica, ruolo sociale e tecnologia. Aree che si sovrappongono tra loro, delle quali i media subiscono da sempre l’influenza e che oggi sono ancora più evidenti in ambito “social” dove i processi di comunicazione hanno una linearità ed una governabilità inferiore rispetto ad altri mezzi per quanto riguarda la comunicazione d’impresa.
Sin ora anche l’industria dell’informazione, al pari di altri settori, ha prevalente (ab)usato dei social media e delle reti sociali vedendone le potenzialità esclusivamente come fonte di traffico, mezzo unidirezionale per portare visitatori alle proprie edizioni online. Aspetto che, al di là di ogni considerazione ulteriore possibile, è una politica miope anche in chiave “biecamente strumentale” come dimostrato dallo studio effettuato da Argyle su quali modalità di cura e condivisione dei contenuti siano efficaci e confermato, non più tardi della scorsa settimana, dal rapporto PEW Research Center’s Project for Excellence in Journalism: “State of the News Media 2012″ che ha evidenziato come l’incidenza delle principali reti sociali come refferrals, come fonti di traffico, sia relativamente modesto ancora, con un peso complessivo generale del 9%.
Ovviamente come avviene normalmente, nella generalità, nella media, esiste sempre l’eccezione, l’eccellenza. Nel panorama europeo è indubbio che uno dei casi virtuosi di buona pratica sia rappresentato dal The Guardian.
Il quotidiano anglosassone da tempo dimostra concretamente la sottile ma fondamentale differenza tra essere online ed essere parte della Rete. Approccio che risulta nel concreto molto premiante come documentato dal successo dei numeri di visitatori al sito del giornale di gran lunga superiore alle performance di altri quotidiani concorrenti.
Scelta strategica che vede ora aggiungersi un ulteriore tassello, un altro elemento, apparentemente marginale che invece ritengo di grande peso e valore. E’ stata infatti annunciata una partnership con le principali organizzazioni ed istituzioni del mondo dell’arte britannico che farà diventare The Guardian l’hub, la piattaforma di riferimento per le più qualificate imprese ed i migliori avvenimenti in tale ambito. Creandosi in questo modo, partendo da una nicchia di interesse relativamente ristretta numericamente ma qualitativamente di grande rilevanza, una comunità di interesse, un pubblico attivo interessato al tema specifico all’interno del proprio sito web.
Evoluzione da media a rete sociale, sulla falsariga di quanto già adottato da El Pais, che, da un lato, prosegue con coerenza straordinaria, senza esitazioni, il proprio percorso di apertura e trasparenza nei confronti dei lettori e, dall’altro lato, riporta all’edizione online, al sito web del quotidiano la centralità di “luogo” che favorisce il contatto e la relazione con e tra le persone sulla base dei loro distinti interessi.
E’ la strada giusta.
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