World Press Photo: i migliori scatti dell’anno
in mostra a Berlino

12 Giugno 2012 • Etica e Qualità, Giornalismi • by

Il terremoto in Giappone, la Primavera Araba, Piazza Tahrir, la strage dell’isola di Utoya. Ripensare a ritroso il 2011 e cercare di focalizzare gli eventi che lo hanno caratterizzato fa venire alla mente una sensazione chiara: lo scorso è stato senza dubbio un anno denso, ricco di avvenimenti che passeranno alla storia. Proprio nei dodici mesi in cui nelle visioni di molti osservatori i social e new media sono diventati i nuovi veicoli della realtà (o almeno di alcune porzioni di essa) a scapito dei mezzi di comunicazione tradizionali, ripensare a ritroso al 2011 e ai suoi fatti è soprattutto un pensare per immagini. Immagini che sono per lo più state veicolate da quei media tradizionali passati quasi in secondo piano nelle cronache dello scorso anno. La mostra degli scatti premiati con i World Press Photo Awards in programma a Berlino alla Willy-Brandt-Haus fino all’1 luglio è con ogni probabilità uno dei veicoli più efficaci per intraprendere questo percorso nell’immaginario del 2011. Nella sede della Spd sono infatti esposti 158 scatti dei 57 fotografi che hanno partecipato al concorso, a cominciare dall’immagine di Samuel Aranda vincitrice del riconoscimento come “foto dell’anno”, scattata a Sanaa nello Yemen nel corso della manifestazioni contro il Presidente Ali Abdullah Salih.

Il World Press Photo è un’istituzione che dal 1955 premia le migliori fotografie giornalistiche dell’anno con lo scopo di rompere le barriere che dividono i professionisti del fotogiornalismo dal grande pubblico che, spesso inconsciamente, fruisce gli scatti sulla carta stampata o in Rete senza avere la reale percezione di cosa essi rappresentino in termini di lavoro e professionalità.

A Berlino si possono ammirare, decontestualizzate dalla dimensione per forza di cose volatile dei media, fotografie formalmente eccellenti e dall’enorme valore documentaristico come quelle di David Guttenfelder che ha immortalato le condizioni di vita dei profughi della zona di Fukushima; di Tomas Lazar che ha impresso su pellicola in un unico scatto tutto il sommovimento di New York tra #Occupy e manifestazioni contro le violenze della polizia o la straziante serie di Niclas Hammarström scattata sull’isola di Utoya, tra i primi a giungere sul luogo della strage. Le fotografie, divise per categorie, mostrano ancora una volta e con forza quanto il fotogiornalismo rimanga uno dei più forti veicoli dello Zeitgeist contemporaneo. Forse sono i lavori di Simon Norfolk a concretizzare al meglio questo discorso: facendo dialogare le fotografie di John Burke, scattate nel 19esimo secolo in Afghanistan, con le sue, realizzate invece nel dopoguerra più recente nel 2010 e 2011, il fotografo inglese mette a confronto due epoche diverse della fotografia giornalistica. La prima, in cui la sua rilevanza era assoluta e quella contemporanea, dove questo mestiere invece non ottiene i riconoscimenti pubblici che gli spetterebbero.

Il grande merito del World Press Photo 12 e della mostra berlinese (che è solo un tassello di una costellazione di eventi) coincide con quelli che sono gli scopi dichiarati del premio: dare prima che visibilità, riconoscimento pubblico – tramite gli autori e agli scatti stessi – a un settore del giornalismo e dell’informazione più di dominio pubblico tra gli addetti ai lavori degli ambienti della fotografia e dell’arte che ai lettori di quelle testate per cui i servizi vengono realizzati. Tra i numerosi, uno dei paradossi più evidenti dell’attuale ecosistema informativo.

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