Negli ultimi due mesi in questi spazi sono state realizzate le case history di 8 quotidiani di diversa tipologia e area geografica, con l’obiettivo di mettere a disposizione un archivio liberamente consultabile di diverse posizioni ed approcci al “dilemma del prigioniero”, in modo da fornire a chi lo desideri gli elementi di base per il benchmarking rispetto alla propria realtà editoriale e verificare come e, soprattutto, con quale sostenibilità economica l’evoluzione verso l’online e il digitale venga affrontata.
A questi si è aggiunta la desk research, condotta da Nicola Bruno e Rasmus Kleis Nielsen per il Reuters Institute for Journalism, di analisi su diverse realtà all digital in Europa, Italia compresa; nove case studies di altrettante testate in Germania, Francia ed Italia, che consentono di verificare, altrettanto, lo status quo delle nuove proposte informative in ambito digitale.
In questo tempo l’ipotesi di cessione, di vendita di una parte dell’area publishing di News Corp, segnalata all’interno della disamina del The Times, è divenuta di recente una separazione del ramo di azienda con la realizzazione ormai certa di due imprese distinte, entertainment e news, autonome e separate tra loro. Un percorso che partendo dal rebranding del The Wall Street Journal, dovrà portare alla profittabilità di tutte le testate, ordina Murdoch. Sempre in termini di aggiornamento rispetto a quanto scritto relativamente al The Guardian nella seconda metà di maggio, si aggrava la situazione economico-finanziaria della testata anglosassone che ora si stima perda circa 1 milione di sterline alla settimana (circa 806mila €). Perdite che hanno portato all’avvio della ristrutturazione sia dell’area marketing che vendite del quotidiano nonché a diversi licenziamenti.
Osservando nel complesso l’insieme delle precitate case studies sembrano essere due i temi di fondo emergenti.
Da un lato le testate generaliste esaminate hanno complessivamente maggiori difficoltà economiche di quelle specializzate, focalizzate sostanzialmente su un tema specifico com’è il caso dei quotidiani economici finanziari. Problemi che quando risolti o in via di risoluzione, come nel caso del The Times e Le Monde, lo sono più grazie alla razionalizzazione, al taglio dei costi, che non all’aumento dei ricavi. Se persino il The New York Times non riesce a venirne a capo, non riesce a compensare le perdite dei ricavi dalla pubblicità dell’edizione cartacea con le sottoscrizioni, le vendite del giornale e con la raccolta pubblicitaria nell’area digitale-online, probabilmente è il modello, l’idea di quotidiano generalista che segna il passo. Ipotesi che sembrerebbe confermata dal buon andamento delle 3 testate specializzate esaminate.
Dall’altro lato emerge distintamente, anche grazie alla diffusione degli ottimi risultati del The Economist, la necessità di diversificare le fonti di ricavo senza affidarsi esclusivamente, come è avvenuto sin ora, al binomio raccolta pubblicitaria – vendita di copie. Una necessità di diversificazione che si accentua ulteriormente in prospettiva poiché dopo le ultime riorganizzazioni e ristrutturazioni effettuate, o in corso d’opera a seconda dei casi, non resterà che agire sul fronte dei ricavi. Diversificazione delle voci di ricavo che potrebbe essere attuata grazie all’evoluzione in newsbrands da parte dei quotidiani che sicuramente hanno, nel complesso, ancora dalla loro la forza del marchio.
Tratti generali dell’evoluzione dell’ecosistema dell’informazione, e del suo impatto sulle testate tradizionalmente esistenti, che ovviamente dovranno essere calati ed adattati a ciascuna testata in maniera specifica. Non vi è dubbio tuttavia che specializzazione e diversificazione siano i due pilastri fondamentali per battere la crisi dei giornali e andare oltre.
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