A settembre di quest’anno il Financial Times ha superato i 300 mila abbonati digitali, 313 mila per la precisione, con un incremento del 17% negli ultimi nove mesi. Il numero di lettori che accedono ai contenuti del giornale economico-finanziario inglese in modalità online, via web, o tramite l’utilizzo delle nuove emergenti tecnologie smartphone e tablet, è così diventato più ampio rispetto all’analogo numero di subscriber dell’edizione cartacea, considerato che l’audience a pagamento è costituito da un numero complessivo di 600 mila lettori.
Un incremento, quello del FT, che ha conosciuto una crescita esponenziale, soprattutto negli ultimi due anni, periodo nel quale il volume di lettori digitali è più che raddoppiato, basti pensare che a luglio 2010 l’audience era di 150 mila utenti. Una crescita che si è consolidata grazie anche alla diffusione di dispositivi mobile. Per comprendere la dinamica di questo mercato è sufficiente riflettere sulle vendite registrate a livello mondiale nell’ultimo trimestre fiscale, terminato lo scorso settembre: Apple ha venduto 26,9 milioni di iPhone, + 58% rispetto al trimestre di un anno fa, e 14 milioni di iPad, + 26%; Samsung, un numero di smartphone più che doppio rispetto a Apple, 56,3 milioni. Infine, i volumi di vendita dell’intero comparto smartphone, sempre riferiti all’ultimo trimestre, sono stati pari a 179.7 milioni di unità, in crescita del 45,3% rispetto ai 123,7 milioni del terzo trimestre 2011.
Per il mercato dell’editoria la diffusione di smartphone e tablet rappresenta una opportunità e una sfida. Da una parte l’opportunità di ampliare la propria base utenti, dall’altra la sfida di associare all’erogazione del servizio una rendita pubblicitaria. Il Financial Times, per esempio incrementa di anno in anno il numero di lettori digitali, ma questo fenomeno non viene accompagnato da un altrettanto rilevante crescita pubblicitaria. Sebbene i ricavi siano cresciuti del 7%, l’elemento di debolezza rimane la redditività delle componenti online e digitali. Monetizzare in termini pubblicitari i contenuti distribuiti via smartphone è la sfida più grande.
Il FT ha acquisito un primo importante risultato, ovvero avere dimostrato che il giornalismo a pagamento è una dimensione che presenta opportunità di crescita. Il metodo a pagamento, declinato per lo più attraverso il metered mode – metodo a consumo in grado di segmentare per numero di accessi il pubblico pagante permettendo lettura free per un numero limitato di articoli – sta iniziando a diventare un modello di business credibile per una buona fetta di testate del mondo anglosassone, inglesi e americane.
Se la risposta dei lettori all’implementazione di sistemi a pagamento si sta rivelando positiva, la criticità maggiore, come dimostra la storia dello stesso FT, rimane la dinamica degli investimenti pubblicitari, che non premia a sufficienza la maggiore fidelizzazione dei lettori conseguita con l’introduzione del paywall.
Un fenomeno comune ad altre realtà editoriali. Le ultime cifre rese disponibili dal New York Times sono di 566 mila utenti paganti, numero che include anche quelli dell’International Herald Tribune, un audience ragguardevole, superiore a quello dello stesso FT, ma ancora sottodimensionato in termini di rendita pubblicitaria.
E’ di questi giorni la notizia dell’introduzione a breve dell’accesso a sbarramento da parte di thestar.com, versione online del quotidiano della città di Toronto, Canada. Un intervento che verrà fatto contestualmente a una rivisitazione della struttura del layout e dei contenuti proposti su web. “Il passaggio alla paid sbuscrition deve necessariamente sarà associato a una maggiore qualità giornalistica, afferma John Cruickshank, publisher del gruppo editoriale. Obiettivo, creare i presupposti per una migliore esperienza multimediale che possa incontrare gli interessi dei lettori e, nello stesso tempo, essere allineata alle esigenze degli investitori pubblicitari”.
Anche in Italia, il dibattito è aperto. Corriere della Sera, Repubblica, così come riportato nel post di Marco Pratellesi, stanno valutando possibili opzioni di paywall. Certo, in un’ipotesi di questo tipo dovrebbe riconsiderare il mix di contenuti attualmente disponibile, traslando sull’online il concetto di qualità associato tradizionalmente alla carta stampata e, soprattutto, rendendo meno invasiva la presenza pubblicitaria. Accedere a un giornale italiano su web si rivela spesso un’esperienza frustrante a causa di pop-up e banner pubblicitari che si sovrappongono di continuo al testo, compromettendo l’esperienza di lettura. Mi chiedo se tutto questo potrà essere risolto dal paywall, oppure, come dimostra lo stesso Guardian, sia un problema che debba essere affrontato comunque, qualunque sia la modalità di accesso, gratuita o a pagamento.
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