La ricerca di un modello di business sostenibile nell’evoluzione in corso dell’attuale ecosistema dell’informazione è, tra tutti, quella che ancora non ha trovato una soluzione univoca.
Tra tutte le possibili soluzioni l’introduzione dei paywall pare essere la più naturale. I lettori, anche nel digitale devono pagare l’informazione così come è sempre stato per la versione cartacea dei quotidiani e l’ argomento è divenuto caldo anche in Italia ad inizio 2013 quando si erano fatte sempre più insistenti e concrete le voci di una sua adozione anche da parte delle principali testate nazionali. Voci che, ad oggi, non hanno trovato un riscontro effettivo.
I modelli fondamentalmente, sin ora, sono stati due: full paywall, con blocco totale di accesso al sito senza una sottoscrizione, ed il metered paywall, caso nel quale viene concessa la lettura gratuita di un numero definito di articoli contati nell’arco di una settimana o di un mese, superato il quale diviene necessario effettuare un pagamento per andare avanti nella lettura.
Dei due è certamente il secondo il più diffuso poiché consente di evitare un crollo dell’audience e dunque dei ricavi provenienti dall’advertising online. Il caso di maggior successo in tale ambito è quello del The New York Times. Secondo i dati citati da Bloomberg infatti il paywall pesa il 12% del totale dei ricavi delle vendite del giornale. Successo controverso e tutto da interpretare poiché, come ha dichiarato Paul Smurl,Vice Presidente di NYTimes.com Paid Products al New York Times Media Group, a due anni di distanza dall’introduzione del metered paywall, sembra che in realtà il muro a pagamento sia elemento di supporto più per la tenuta delle vendite del cartaceo. Tesi che trova conferma anche nei dati forniti dalla National Newspapers Association che dimostrano come gran parte dell’aumento dai ricavi della diffusione per i quotidiani statunitensi provengano dagli aumenti dei prezzi delle edizioni su carta piuttosto che da reali redditi digitali.
Le persone sono abituate prevalentemente a non pagare per l’informazione online e sono in molti a credere che nel complesso l’idea di costringere i lettori a pagare non sia una ipotesi di successo. Anche il “Digital News Report 2013” diffuso dal Reuters Institute for the Study of Journalism una decina di giorni fa mostra come mediamente vi sia una propensione al pagamento che attualmente non supera il 10% del totale di coloro che fruiscono di informazione online. Propensione che peraltro, come sempre avviene, necessita di una abbondante taratura tra dichiarato e realizzato.
Che fare dunque? Una possibile alternativa era già stata suggerita da Jeff Jarvis a fine 2011 che, in relazione alla scelta di introdurre il metered paywall da parte del The New York Times, suggeriva di non penalizzare i lettori fedeli con un paywall bensì di premiarli introducendo l’idea del “reversed paywall” secondo il quale invece di far pagare il lettore gli si assegna un bonus economico iniziale che, se da un lato viene consumato con la lettura degli articoli, dall’altro lato viene incrementato premiando una serie di comportamenti “virtuosi” quali:
- guardare un’inserzione pubblicitaria
- cliccare un determinato link
- tornare spesso e leggere molte pagine
- promuovere il giornale su Twitter, Facebook, Google+, sul suo blog
- comprare prodotti e/o servizi dalla sezione e-commerce
- comprare biglietti per un evento del giornale
- offrire dati personali al giornale in modo tale che il giornale possa fare della pubblicità più su misura
- scrivere buoni commenti
- sostenere progetti
- rispondere a una domanda di un giornalista su Twitter che sia utile a quel giornalista per fare un articolo
- segnalare e correggere un errore
- offrire uno spunto per un articolo
Si tratta di un’ipotesi che è stata dibattuta anche più recentemente all’ultimo Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia durante il panel “Modelli di business 2.0: oltre l’advertising” nel quale, in particolare, Garrett Goodman, responsabile dello sviluppo della startup Worldcrunch, ha citato diversi esempi in tal senso.
Se, come ho ribadito più volte, la vera lezione che si può trarre sinora è che non esiste più un modello di business unico per tutti i giornali così come avveniva una volta con il binomio vendite-pubblicità, il reversed paywall sembra un’alternativa davvero interessante per conciliare il superamento della scarsa propensione al pagamento da parte delle persone con la naturale necessità di monetizzare da parte degli editori.