Francesco Franchi, art director di IL, il mensile del Sole 24 Ore, ha pubblicato per l’editore berlinese Gestalten il suo primo libro, Designing News, Changing the World of Editorial Design and Information Graphics, un volume che, oltre al testo portante, scritto e curato da Franchi, contiene contributi di firme quali Daniele Codega, head of design per Reuters Digital, Mark Porter, già direttore creativo del Guardian e Steve Duenes, Graphics Director del New York Times. Il libro, fatto per il 70% da testo e per il 30% da immagini, è un’esplorazione dell’attuale stato dell’arte dei giornali e dell’informazione, visto con gli occhi di un designer.
A partire dalla crisi dell’editoria periodica, Franchi segue un percorso fatto di case study di testate che hanno saputo fare dell’aspetto visuale una leva per ritagliarsi, sia offline che online, uno spazio. Secondo l’autore, il design dei giornali è stato troppo spesso lasciato ai margini del processo di trasformazione delle testate, quando in realtà esso dovrebbe essere uno dei motori più importanti dell’innovazione in questo settore: “il libro nasce proprio dalla forza che il design può avere, quando integrato nella redazione”, racconta Francesco Franchi, “questo concetto nasce dalla mia tesi di laurea, che giocava sull’idea di ripensare completamente i giornali lasciando al design un ruolo di primo piano”.
In “Designing News”, tra i tanti, sono citati i casi del New York Times Magazine, di USA Today e di Eureka, il magazine scientifico del Times di Londra, giornali che hanno saputo ripensare – e non solo da un punto di vista grafico – la loro offerta alla luce del mutato scenario informativo, puntando sul design come strumento privilegiato per comunicare i loro contenuti in un modo innovativo. Nel suo libro, Francesco Franchi propone un nuovo approccio per la figura stessa del designer dell’informazione, il quale, deve lavorare nella “integrated newsroom” al fianco dello staff giornalistico. Francesco Franchi ci racconta il suo “Designing News”.
Nel tuo libro poni molta enfasi sulla differenza tra “restyling” e “rethinking” nel design dei giornali. Cosa intendi?
“Il restyling non è un ripensamento vero e proprio, in questo processo il design interviene solo alla fine, su un piano estetico. Io voglio rilanciare l’idea di rethinking, dove il designer si inserisce in un dialogo professionale con gli altri professionisti, inserendosi nelle scelte redazionali. I vantaggi sono a livello di processi, dove, citando Le Corbusier, un designer non è un creatore di modelli, ma un organizzatore e un ripensatore; a livello di soluzioni, invece, può aiutare a far capire l’importanza che possono avere le infografiche o il digitale. Bisogna ripensare il senso dei giornali e il design è uno dei punti chiave della trasformazione che i giornali stanno attraversando”.
Perché è necessario questo cambio di prospettiva? Quali errori sono stati commessi in passato?
“Molto spesso, si è pensato che un intervento grafico meramente estetico, limitato al cambio di caratteri e di formato per ridurre l’impatto dei costi, fosse la formula per rilanciare un giornale. Allo stesso modo, con l’avvento dell’iPad, si è visto che l’approdo su questo strumento è stato spesso una mera trasposizione omotetica: è cambiato il piano ma la forma è sempre la stessa. Quindi si è visto lo spostamento delle logiche cartacee al digitale: sfogliatori ed edicole digitali sono entrati in un mondo dove il contenuto, insieme al tempo e allo spazio, venivano atomizzati. La periodicità dei quotidiani non c’è più e, allo stesso tempo, si sono spostati i filtri che ora intervengono dopo la pubblicazione e non più prima. Un quotidiano ora deve filtrare le notizie e dare approfondimento”.
Quali sono gli elementi fondamentali di un buon prodotto di design per l’informazione. Esiste una ricetta specifica?
“Ci sono due approcci: da un lato c’è l’informazione, dall’altro la comunicazione. Puoi avere un prodotto molto freddo, vicino al contenuto, oppure su qualcosa di più importato alla comunicazione, dove si deve cercare di vendere l’informazione in modo più attraente. Quando c’è una forte integrazione, come nel caso di Katachi, le app possono anche assumere le tinte di un gioco, dove il lettore può letteralmente giocare con le pagine. All’estremo opposto c’è l’app di Bloomberg Businessweek, un ibrido tra il sito e uno strumento di lettura, è un’ottima app a livello di informazione. A livello di regole, valgono le medesime del design o quelle di Information Architecht, che condivido molto: un desing chiaro, pulito, con una forte attenzione alla tipografia. Penso sia il punto di partenza per ogni buon progetto sia sulla carta che nel Web. Un altro aspetto centrale è l’editorial experience design, che comprende il riconoscere i canoni classici dell’editoria tradizionale, ma avvicinandoli alle regole della user experience”.
Ma in che modo il design può fungere da volano per la qualità giornalistica?
“Il design editoriale dà forma a un contenuto, che è la base di tutto. Il design, comunque, è anche contenuto esso stesso, perché il modo in cui rappresenti le cose è quello con cui dai le informazioni. Uno dei punti di forza di IL, è stata l’unione tra la parte grafica e quella giornalistica, dove i giornalisti stessi hanno iniziato a pensare in modo grafico. Parlando con Richard Turley, direttore creativo di Bloomberg Businessweek, ho scoperto che la stessa cosa è avvenuta anche presso il suo giornale. Fin dall’inizio, l’idea era quella di inserire il modus operandi di uno studio di design in una redazione, che spesso è molto gerarchizzata e con compiti chiaramente assegnati. L’operazione di integrazione che è stata fatta a IL agisce quasi su un piano temporale e funziona anche nella misura in cui fa pensare in modo non necessariamente lineare ai contenuti e al modo in cui si dà l’informazione”.
Quali sono dal tuo punto di vista le testate migliori dal punto di vista del designing delle news?
“Il Guardian ha sempre considerato il design fondamentale, anche a livello di sviluppo del brand. La tipografia, ad esempio, funziona benissimo sulla carta, sullo schermo, per le campagne pubblicitarie, sulla segnaletica dentro la redazione, fino al Guardian Coffee, dove i menu sono infografiche. Anche il New York Times sta facendo un ottimo lavoro, a partire da “Snow Fall”. In Italia ci sono ottimi progetti a livello di magazine, come Studio o Internazionale. Un caso interessante è la rinascita del magazine che lavorano su una nicchia e sulla qualità dei contenuti e della confezione, come il caso spagnolo di giornali indipendenti nati da giornalisti che hanno perso il loro lavoro in grandi testate, oppure il caso francese dei mook, un prodotto ibrido tra magazine e libro, venduto nelle librerie”.
Crediti per la foto: Malvina Monteggia
Crediti per il ritratto: Alan Chies
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