
Photo credits: Sean R Nicholson / Flickr CC
Il dibattito sui social media e i commenti agli articoli online hanno una brutta reputazione. Descritto spesso come senza senso, inutile, maleducato e denigratorio, il dibattito su Internet spesso si è interscambiato con l’hate speech e soprattutto le donne in politica sono spesso bersaglio dei troll, delle calunnie e del vetriolo di certi commenti sul Web. Una nuova ricerca conferma, però, come questa immagine negativa sia ampiamente non meritata o esagerata.
Lo studio in questione, basato su una content analysis, è stato condotto dal Centre for Power, Media and Communications della Roskilde University e ha riscontrato come le conclusioni negative sul dibattito via social media siano spesso basate su esempi marginali, generati spesso su argomenti che dividono per definizione. Quando il dibattito è stato analizzato in modo sistematico, nel corso di una settimana intera ad esempio, i ricercatori hanno scoperto invece come esso avvenga per lo più in modo neutrale e innocuo.
Per approfondire: Fenomenologia del troll online, di Thomas Schmidt
La nostra ricerca, “Agency and Civic Involvement in News Production via Facebook Commentary”, ha preso come campione 149 post pubblicati da 7 pagine Facebook di altrettante testate danesi e 3800 commenti conseguenti da parte dei lettori. I dati sono stati raccolti nel corso della 46esima settimana del 2012 in real time e nel loro complesso, al fine di eludere la moderazione da parte dei gestori delle pagine.
Nel caso dei post presi in esame l’opzione più frequentemente riscontrata da parte degli utenti, apparsa circa nel 49% dei casi, era quella di postare uno statement neutrale, o una descrizione, di quello che era incluso nella notizia in esame. La secondo opzione più frequente, invece, era porre una domanda (30%). Queste due possibilità, e in particolare le domande, sono anche molto efficienti per far partire un dibattito con altri utenti.
La conclusione principale del nostro studio è che, con un margine molto ampio, il dibattito online è per lo più neutrale. Ben il 73% dei commenti analizzati non conteneva né un’inclinazione negativa né una positiva, mentre solo il 21% dei commenti era apertamente dispregiativo e solo il 6% positivo. Inoltre, secondo i nostri risultati, esiste una corrispondenza tra il tono usato nei post e i commenti che si ottengono.
Per approfondire: I commenti online e il branding dei media, di Stephan Russ-Mohl
Quando gli utenti pongono una domanda, spesso accade perché si sentono arrabbiati nei confronti di una questione. Il dibattito che ne scaturisce, e le risposte a queste domande, possono riflettere questo tono negativo. La nostra ricerca è stata quantitativa, quindi non abbiamo tenuto in considerazione l’argomento dei dibattiti studiati ma in ogni caso, stando ai nostri risultati, è chiaro come il dibattito online da noi studiato sia pieno di pregnanza e di significato: in moltissimi casi, l’86%, gli utenti hanno espresso la propria opinione e ancora nella maggior parte dei casi, l’82% questa volta, chi ha commentato non è andato offtopic.
Molti giornalisti, editori e ricercatori sono preoccupati dalla possibilità che i social media possano impossessarsi delle funzioni fondamentali del giornalismo, come l’agenda setting, il riportare diversi punti di vista e criticare le élite più potenti. Guardando a questi parametri, abbiamo riscontrato come il dibattito online non sia una minaccia per i media esistenti. Solo il 5% dei commenti analizzati, infatti, includevano nuovi punti di vista, mentre solo l’11% attaccava delle istituzioni politiche. Non proprio numeri potenti per influenzare il processo di agenda setting, ad esempio.
Per approfondire: Francesco Costa: “I commenti agli articoli sono inutili”, di Philip Di Salvo
Inoltre, crediamo che i community manager di testate online importanti potrebbero agire più spesso come moderatori durante queste discussioni, ponendo più domande positive e preferendole ad altre più provocatorie. Anche le testate dovrebbero inserirsi nei dibattiti in modo costruttivo e non solo moderando o eliminando alcuni commenti. Anche questo potrebbe portare a un migliore e più produttivo dibattito e arricchire lo spettro delle opinioni espresse sui social media.
I dati della ricerca sono disponibili qui.
Articolo tradotto dall’originale inglese
Commenti online: per lo più innocui e neutrali
25 Marzo 2015 • Giornalismi, Più recenti • by Mads Kaemsgaard Eberholst e Jannie Moller Hartley
Photo credits: Sean R Nicholson / Flickr CC
Il dibattito sui social media e i commenti agli articoli online hanno una brutta reputazione. Descritto spesso come senza senso, inutile, maleducato e denigratorio, il dibattito su Internet spesso si è interscambiato con l’hate speech e soprattutto le donne in politica sono spesso bersaglio dei troll, delle calunnie e del vetriolo di certi commenti sul Web. Una nuova ricerca conferma, però, come questa immagine negativa sia ampiamente non meritata o esagerata.
Lo studio in questione, basato su una content analysis, è stato condotto dal Centre for Power, Media and Communications della Roskilde University e ha riscontrato come le conclusioni negative sul dibattito via social media siano spesso basate su esempi marginali, generati spesso su argomenti che dividono per definizione. Quando il dibattito è stato analizzato in modo sistematico, nel corso di una settimana intera ad esempio, i ricercatori hanno scoperto invece come esso avvenga per lo più in modo neutrale e innocuo.
Per approfondire: Fenomenologia del troll online, di Thomas Schmidt
La nostra ricerca, “Agency and Civic Involvement in News Production via Facebook Commentary”, ha preso come campione 149 post pubblicati da 7 pagine Facebook di altrettante testate danesi e 3800 commenti conseguenti da parte dei lettori. I dati sono stati raccolti nel corso della 46esima settimana del 2012 in real time e nel loro complesso, al fine di eludere la moderazione da parte dei gestori delle pagine.
Nel caso dei post presi in esame l’opzione più frequentemente riscontrata da parte degli utenti, apparsa circa nel 49% dei casi, era quella di postare uno statement neutrale, o una descrizione, di quello che era incluso nella notizia in esame. La secondo opzione più frequente, invece, era porre una domanda (30%). Queste due possibilità, e in particolare le domande, sono anche molto efficienti per far partire un dibattito con altri utenti.
La conclusione principale del nostro studio è che, con un margine molto ampio, il dibattito online è per lo più neutrale. Ben il 73% dei commenti analizzati non conteneva né un’inclinazione negativa né una positiva, mentre solo il 21% dei commenti era apertamente dispregiativo e solo il 6% positivo. Inoltre, secondo i nostri risultati, esiste una corrispondenza tra il tono usato nei post e i commenti che si ottengono.
Per approfondire: I commenti online e il branding dei media, di Stephan Russ-Mohl
Quando gli utenti pongono una domanda, spesso accade perché si sentono arrabbiati nei confronti di una questione. Il dibattito che ne scaturisce, e le risposte a queste domande, possono riflettere questo tono negativo. La nostra ricerca è stata quantitativa, quindi non abbiamo tenuto in considerazione l’argomento dei dibattiti studiati ma in ogni caso, stando ai nostri risultati, è chiaro come il dibattito online da noi studiato sia pieno di pregnanza e di significato: in moltissimi casi, l’86%, gli utenti hanno espresso la propria opinione e ancora nella maggior parte dei casi, l’82% questa volta, chi ha commentato non è andato offtopic.
Molti giornalisti, editori e ricercatori sono preoccupati dalla possibilità che i social media possano impossessarsi delle funzioni fondamentali del giornalismo, come l’agenda setting, il riportare diversi punti di vista e criticare le élite più potenti. Guardando a questi parametri, abbiamo riscontrato come il dibattito online non sia una minaccia per i media esistenti. Solo il 5% dei commenti analizzati, infatti, includevano nuovi punti di vista, mentre solo l’11% attaccava delle istituzioni politiche. Non proprio numeri potenti per influenzare il processo di agenda setting, ad esempio.
Per approfondire: Francesco Costa: “I commenti agli articoli sono inutili”, di Philip Di Salvo
Inoltre, crediamo che i community manager di testate online importanti potrebbero agire più spesso come moderatori durante queste discussioni, ponendo più domande positive e preferendole ad altre più provocatorie. Anche le testate dovrebbero inserirsi nei dibattiti in modo costruttivo e non solo moderando o eliminando alcuni commenti. Anche questo potrebbe portare a un migliore e più produttivo dibattito e arricchire lo spettro delle opinioni espresse sui social media.
I dati della ricerca sono disponibili qui.
Articolo tradotto dall’originale inglese
Tags:commenti, commenti online, Facebook, hate speech, social media, Twitter
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Mads Kaemsgaard Eberholst e Jannie Moller Hartley
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