Che cos’è veramente, BuzzFeed? Un giornale per millennials, una piattaforma social, una media company, un laboratorio della viralità? Il sito fondato da Jonah Peretti è tutto questo e in futuro potrebbe diventare altro ancora. I numeri, del resto, sono dalla sua parte: 200 milioni di visitatori unici al mese, oltre 15 milioni di like totali su Facebook suddivisi tra oltre 40 pagine, edizioni locali in Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, ricavi in crescita verticale e ulteriori prospettive di espansione in agenda.
Dietro al successo, le ragioni sono molte: abbiamo provato ad evidenziarne alcune, cercando di capire che cosa l’esperienza di BuzzFeed possa insegnare agli altri attori dell’ecosistema giornalistico. Ecco i tredici “comandamenti” che abbiamo tratto da questa analisi:
1) I giornali sono la tecnologia che sviluppano
Per una news organization, pensare di potere sopravvivere senza investire sullo sviluppo della sua componente tecnologica è un’illusione. Mai come oggi, innovazione e giornalismo sono legati a doppio filo, anzi incatenati: se da un lato la tecnologia ci permette di raccontare una storia con personalità ed efficacia (pensiamo alle gif, alle fotografie in “reveal”, agli embed, ai live-streaming di breaking news), dall’altro è un plus in grado di valorizzare l’intera compagnia. Nel 2014 il fondo Andreessen Horowitz non avrebbe investito 50 milioni in BuzzFeed, se quest’ultimo non avesse dato prova di considerare sviluppatori e informatici come cittadini di “serie A” all’interno della sua redazione. BuzzFeed oggi agisce come una company della Silicon Valley: negli ultimi mesi ha acquistato e inglobato prima il team di Torando Labs e poi quello di Hyper IQ, startup che si occupa di sviluppare applicazioni verticali dedicate a video e news; infine, a dicembre, BuzzFeed ha aperto a Minneapolis una nuova “redazione” composta solo da ingegneri.
2) Contenuto e contenitore hanno la stessa rilevanza
Nella sua edizione americana, BuzzFeed pubblica oltre 300 contenuti ogni giorno. L’homepage del sito è in continuo movimento, al punto che ogni utente può tornare a visitarla più volte durante la giornata e trovarci costantemente nuovi spunti. Questi contenuti sono ideati, realizzati e impaginati con cura: la scelta delle immagini non è mai banale, i titoli sono studiati dalla prima all’ultima sillaba e -al netto di alcuni casi di plagio– i testi risultano freschi ed originali. Che si tratti di un lungo report realizzato da un inviato o di un listicle, il contenuto non basta per conquistare audience se non è supportato e veicolato da una struttura funzionale. Quella di BuzzFeed lo è: piaccia o no a livello grafico, il sito è progettato per essere visualizzato e caricato al meglio su ogni piattaforma. Esemplificativo è il lavoro di ottimizzazione del sistema editoriale che viene condotto da un apposito team: ogni giornalista di BuzzFeed, prima di pubblicare, ha la possibilità di visualizzare la resa del contenuto sull’interfaccia di uno smartphone.
3) Senza banner si vive meglio, e si guadagna di più
Su BuzzFeed non ci sono banner né paywall: il sito si finanzia con i contenuti sponsorizzati (anzi, “promossi”) dalle aziende. Replicando il suo tipico linguaggio anche nei post a pagamento, BuzzFeed riesce a catturare l’attenzione degli utenti veicolando con efficacia i messaggi dei brand, che si affidano al sito di Peretti per raggiungere centinaia di migliaia di millennials. Gli utenti interagiscono con i post sponsorizzati come se fossero editoriali puri di BuzzFeed, come dimostra il grande successo virale di questa campagna avviata per Toyota qualche settimana fa. Native advertising fatto bene che rispetta il patto non scritto con gli utenti, come questo: 11 Female Inventors Who Helped Power The Information Age (sponsorizzato da Intel). Il risultato? Pubblicità che cattura l’attenzione sia da desktop che da mobile, niente banner o popup invasivi, conti in attivo con oltre 100 milioni di incassi dichiarati nel 2014 ed una valutazione monstre di 850 milioni
4) Sì, si può fare a meno di Google
Con il passare del tempo BuzzFeed è riuscito in un certo senso a “fare a meno” di Google, al punto che oggi il 75% del suo traffico arriva dai social network e non dal motore di ricerca di Mountain View. Un risultato raggiunto in parte grazie a Facebook, ma paradossalmente anche ad un errore commesso da Big G. Nel 2011, Google cominciò a penalizzare il ranking di BuzzFeed dopo avere valutato (erroneamente) l’utilizzo di alcuni widget come un tentativo di malware. Quando l’incomprensione venne chiarita, qualcosa ormai era cambiato: BuzzFeed aveva posto il SEO in secondo piano e puntato tutto sull’espansione social. Una scelta che oggi – BuzzFeed dichiara di raggiungere 200 milioni di utenti unici mensili – nessuno rimpiange di avere compiuto. Più che puntare dritti al SEO o al clickbait puro, i titoli degli articoli di BuzzFeed sembrano infatti voler parlare al lettore e alla sua emotività. Del resto a cosa serve un motore di ricerca, quando è il contenuto a raggiungere l’audience dove essa si trova?
5) I giornali devono diventare community
Tra i vari “vertical” del sito di BuzzFeed, uno dei più interessanti è rappresentato dalla Community. Lanciata nel 2013, questa sezione permette agli utenti registrati di pubblicare articoli direttamente nel sito, sfruttando la piattaforma BuzzFeed per poter raggiungere migliaia di persone. La community, costituita oggi da oltre 500mila iscritti, produce circa 100 post al giorno tutti i giorni. Diverse persone lavorano a tempo pieno al monitoraggio di articoli e commenti, verificando che il materiale impaginato rispetti le regole di utilizzo. I migliori post della settimana entrano in classifica e sono segnalati in homepage; i collaboratori più prolifici possono aumentare il proprio “Cat Power” (la scala valoriale che determina la prominenza degli utenti nella Community) a seconda del successo dei propri contenuti. Aprire il proprio sito a contributi esterni e non retribuiti non è certo un’invenzione di BuzzFeed, ma il modo in cui quest’ultimo coltiva (meglio, coccola) la propria comunità di utenti è degno di attenzione. BuzzFeed considera la Community non solo come una fonte di traffico, ma come un vero e proprio asset del sito.
6) Conoscere il tuo pubblico è fondamentale
Ogni nostra condivisione su Facebook, ogni nostro click su un link, ogni scroll del mouse, ogni swipe nella schermata di una app generano una scia di preziose informazioni. BuzzFeed conosce bene l’importanza di questi dati e li utilizza per tracciare un profilo preciso della propria audience, studiandone reazioni e comportamenti. Per esempio, dopo avere scoperto che molti utenti condividevano anche le singole fotografie all’interno degli articoli, BuzzFeed ha aggiunto titoli, link e share button nelle immagini. BuzzFeed analizza molte metriche in tempo reale, scoprendo così “in diretta” quale contenuto sta attirando il maggior numero di lettori sul sito, e modella di conseguenza le sue strategie; sperimentazioni simili avvengono con i titoli (che vengono testati in varie versioni, come avviene anche con Upworhty) e con la richiesta di “reazione” rivolta agli utenti (attraverso i bottoni OMG, Lol, Cute, Fail, posizionati in fondo agli articoli)
7) I lettori sono, prima di tutto, persone
Conoscendo i suoi lettori, il sito di Peretti sa qual è il linguaggio che gli consente di stabilire un legame con loro. Il Sacro Graal di BuzzFeed è costituito dagli “Identity post”: contenuti che si rivolgono all’identità e al carattere dell’utente, più che al suo bisogno di notizie. Che pongono al centro della questione la sua città natale, la sua generazione, la sua origine etnica o religiosa, la sua band preferita, la sua scuola, le sue passioni e così via. Qualche esempio di Identity Post? “25 Ways To Tell You’re A Kid Of The ‘90s”, “27 Signs You Were Raised By Immigrant Parents” o ancora “17 Signs You Went To A Catholic School In Australia”. Un’opera di identificazione testata-utente che tanto piace agli sponsor e che permette al sito di stringere un rapporto virtuale con la sua audience, considerata un insieme di persone reali prima che un numero. Benché l’utilizzo di questa tipologia di post sia inadatto alla maggior parte delle testate giornalistiche tradizionali, ci pone un quesito importante. Quanto è sbilanciato, oggi, il rapporto giornalista-lettore? Quanto ascoltiamo davvero le richieste della nostra audience? Nel processo di realizzazione del contenuto, i giornalisti dovrebbero mettersi maggiormente in discussione?
8) Approfondimento e intrattenimento possono coesistere con dignità
Il pubblico detesta le hard news, ma ama far credere il contrario: così The Atlantic riassumeva nel 2014 i risultati di una ricerca del Reuters Institute for the Study of Journalism. Se ci venisse chiesto che cosa vogliamo leggere sui siti di informazione, probabilmente risponderemmo così: notizie di attualità, importanti inchieste, interviste “con la schiena dritta” di fronte ai potenti. Molto spesso, però, le classifiche dei contenuti più letti della giornata sbugiardano questa domanda di approfondimento giornalistico. “Ask audiences what they want, and they’ll tell you vegetables. Watch them quietly, and they’ll mostly eat candy”. Diciamo di volere dei giornali “cani da guardia”, ma in verità adoriamo i gattini da passeggio. È davvero così? Da due anni e mezzo BuzzFeed sta tentando di percorrere una strada impervia: unire contenuti leggeri e leggerissimi a reportage, inchieste, live coverage in prima linea. In questo senso va letta la scelta di un direttore come Ben Smith e l’ingaggio di giornalisti e reporter da Premio Pulitzer. La sfida? Fare in modo che le soft news creino i presupposti economici per sostenere quelle hard, senza compromettere la dignità generale del prodotto.
9) Il vero successo è saper aspettare
Per quanto il nome di BuzzFeed ai non addetti ai lavori possa risultare relativamente nuovo, il sito fondato da Jonah Peretti è nato 9 anni fa, nel 2006, come un laboratorio che monitorava la diffusione virale dei contenuti sul Web. A quel tempo, per intenderci, Twitter era poco più che un esperimento e Facebook aveva appena aperto le proprie porte al di fuori di Harvard. Nonostante un primo round di finanziamenti concluso nel giugno 2008 (3,5 milioni di dollari), la vera esplosione della piattaforma a livello di audience e riconoscibilità è avvenuta soltanto tra il 2011 e il 2012, dopo l’acquisizione dell’Huffington Post da parte di AOL per 315 miloni di dollari. A quel tempo il sito fondato da Arianna Huffington contava 25 milioni di utenti unici al mese, oggi BuzzFeed ne totalizza otto volte di più. Morale: in un mercato dove spesso l’orizzonte temporale concesso alle startup editoriali per “farcela” è troppo limitato (in Italia, un paio d’anni) il caso BuzzFeed dimostra come pazienza e investimenti costanti siano necessari per costruire realtà dalle fondamenta solide.
10) Tra giornali e social network i confini stanno scomparendo
Se le indiscrezioni riportate qualche giorno fa saranno confermate, BuzzFeed sarà tra le prime testate ad ospitare contenuti direttamente su Facebook, bypassando i confini del proprio sito Internet. Non è una novità assoluta: da tempo la testata sperimenta meccanismi di social distribution creando contenuti che nascono, crescono e vivono sui social network, senza portare traffico diretto al sito. Si pensi a YouTube, dove BuzzFeed pubblica clip, show e format di intrattenimento attirando milioni di visualizzazioni. La compagnia ha creato una apposita divisione “Motion Pictures” con sede a Los Angeles: un investimento ripagato dagli introiti delle pubblicità riprodotte all’inizio di ogni video. Lo stesso meccanismo potrebbe essere proposto in futuro anche da Facebook. La difesa della roccaforte non è sempre funzionale alla causa, dunque. Lo dice bene Peretti a Re/Code: “Il nostro obiettivo è essere agnostici rispetto [alla distribuzione del nostro contenuto]. In un mondo ideale, il ‘dove’ ci lascerebbe indifferenti. Faremmo tutto ciò che è meglio per l’utente”. Se volessimo riassumere l’obiettivo editoriale di BuzzFeed in due parole, potremmo dunque dire così: distribuire emozioni.
11)Mobile e video sono il presente e il futuro
Il 60% del tempo totale che trascorriamo sui social network avviene su dispositivi mobile. La crescita del mezzo è travolgente e sfrutta la spinta dei millennials, che navigano da smartphone in media per 5 ore e 12 minuti ogni giorno, contro le 2 ore e 51 degli adulti (indagine eMarketer su pubblico americano). BuzzFeed stesso ammette che due terzi dei lettori accedono ai contenuti attraverso dispositivi portatili, generando tassi di condivisione due volte più elevati rispetto a quanto avviene da desktop. Il mobile è anche la prima piattaforma utilizzata dagli utenti per i video, in questo caso sia giovani che adulti. Se mobile e video sono il presente e il futuro, BuzzFeed è in pole position, avendoci puntato con decisione già da qualche anno. Quante altre testate, tra all digital e tradizionali, possono dire di avere fatto lo stesso?
12) Sbagliare è fondamentale
Se qualcosa non sta funzionando, è necessario rifletterci e migliorarsi. I quiz di BuzzFeed, oggi tra i driver di traffico più importanti del sito, non sono sempre stati una miniera di click. All’inizio della sperimentazione, infatti, ottenevano pochissime interazioni: dopo avere costruito un team per cercare il punto in cui l’ingranaggio si era inceppato, BuzzFeed scoprì che i quiz erano penalizzati da un design troppo poco funzionale rispetto alle necessità di fruizione degli utenti. Una volta riprogettati da zero, sono diventati il potentissimo strumento che conosciamo oggi. Sbagliare è fondamentale, perché serve ad insegnarci qualcosa.
13) (Don’t) stop at the top
Innovare nell’editoria e nel giornalismo è difficile, ancora più difficile è continuare a farlo una volta raggiunta la vetta. Eppure, l’esempio di BuzzFeed ci insegna che le opportunità di disruption non si fermano mai. Se ci accontentiamo, se siamo sazi, sarà qualcun altro ad innovare al nostro posto. Ecco dunque la sfida: BuzzFeed è arrivato al top. Riuscirà a rimanerci a lungo?
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