Farnaz Seifi, nata a Teheran, dal 2007 vive in esilio forzato lontana dal suo Paese e dalla sua famiglia. Attivista per i diritti umani e femminili, blogger intraprendente che aggira la censura del Governo in difesa della libertà di espressione e di informazione, fondatrice della prima rivista femminile online in Iran, Seifi è stata ritenuta troppo scomoda e audace per poter continuare a vivere nel suo Paese. Così la giovane blogger ha dovuto lasciare la sua città, le sue montagne che ogni mattina ammirava dalla finestra di casa e iniziare una nuova vita altrove. Oggi vive a Bonn ed è un’affermata giornalista dell’emittente radiotelevisiva Deutsche Welle in lingua persiana. Ma non ha dimenticato la sua gente, non ha abbandonato la sua battaglia per i diritti umani e per la libertà di espressione in Iran. Continua ad avere un blog, anche se scrive sotto pseudonimo, e come giornalista cerca di portare l’attenzione sui temi per lei cruciali del suo Paese. L’abbiamo incontrata a Lugano dove ieri ha partecipato a “Forbidden Voices: Donne blogger in prima linea”, un incontro organizzato da Amnesty International in collaborazione con l’Osservatorio europeo di giornalismo in occasione della giornata mondiale dei diritti umani .
Farnaz Seifi, lei è stata costretta ad abbandonare il suo Paese cinque anni fa. Cosa è accaduto quel particolare giorno del 2007?
«Io e altre colleghe stavamo andando in India per partecipare ad un workshop sul cybergiornalismo. Il poliziotto del controllo passaporti timbra il mio documento ma non me lo restituisce. Mi dice di mettermi in un angolo e di aspettare, lo stesso succede ad altre mie colleghe. Poi improvvisamente alcune guardie di sicurezza in borghese vengono verso di noi, ci portano in un piccolo ufficio nei sotterranei dell’aereoporto, prendono i nostri cellulari e pochi minuti dopo ci mostrano il mandato di arresto. Dopo essere stata accompagnata a casa per raccogliere i miei effetti personali mi hanno portata nella prigione di Evin, sezione 209, è la sezione che appartiene al Ministero dell’intelligence iraniano. Bendata mi hanno portata e rinchiusa in una piccola cella con all’interno un lavandino sudicio. E il Corano.»
Come è cambiata la sua vita da allora?
«Dopo essere stata rilasciata mi è stato impedito di lasciare il Paese per almeno un anno. Il Governo mi ha riconsegnato il passaporto solo dopo avergli assicurato che sarei andata all’estero per continuare la mia formazione e studiare, cosa che mi è stata proibita in Iran. E nel 2007, sono partita per l’Europa, nei Paesi Bassi, dove ho studiato e ho conseguito un master in media e comunicazione».
Nel suo Paese è conosciuta per essere una blogger critica nei confronti del regime, femminista e attivista per i diritti umani. Che cosa, secondo lei, ha dato più fastidio al suo Governo?
«Di me stessa non dico mai di essere una donna contro il regime. Sono una persona che si batte per ottenere condizioni di vita migliori e pari opportunità per tutti nella società. Certamente non condividevano quello che scrivevo, il mio blog e il mio approccio critico verso la società e le leggi che discriminano le donne in Iran erano ritenuti scomodi e pericolosi. Credo però che ciò che li ha resi così ostili nei miei confronti o nei confronti di altre femministe in Iran fosse il fatto di non rientrare in quello che è il loro concetto limitato e conservatore di donna. Di non corrispondere alla loro immagine di “donna per bene” perché conosco troppo bene i miei diritti e mi batto per ottenerli, non indosso abiti secondo i loro standard e ideali, non accetto le ineguaglianze tra uomini e donne nel mio Paese e sono molto critica verso l’operato del Governo».
Lei è la fondatrice del primo magazine online femminile in Iran.
«Si, la rivista “Zanestan” che significa “La città delle donne” è stato il primo magazine femminile in Iran. Lo scopo più importante era quello di coprire qualsiasi questione importante relativa alla condizione delle donne e dei loro diritti. Il magazine ha avuto successo, ma la magistratura iraniana ha emesso un mandato per filtrarlo e sabotarlo diffidando tutti i provider dal darci l’host e il dominio sui quali appoggiare Zanestan».
Che cosa significa essere donna in Iran oggi?
«Per rendere l’idea in poche parole, essere donna in Iran oggi significa portare avanti una battaglia quotidiana. Devi affermarti ogni giorno e ogni giorno lottare per i tuoi diritti fondamentali dal momento in cui ti alzi al mattino ed esci di casa. Il Governo attuale e il Parlamento hanno una visione arretrata sulle donne e sul loro ruolo nella società. Secondo loro l’aspirazione principale per una donna nella vita deve essere il matrimonio, fare figli e prendersi cura della famiglia per tutta la vita».
In Iran la censura sui media mainstream è molto severa. È diverso per la rete? Ci sono voci libere e indipendenti che informano sul web?
«Ci sono diversi siti di informazione dentro e fuori dal Paese. Quelli all’estero godono della libertà di espressione e costituiscono la fonte di informazione principale per i cittadini in Iran i quali, abituati alla diffusa censura di Internet, hanno imparato ad aggirarla usando software antifiltraggio. Anche i blogger iraniani e gli utenti dei social media giocano un ruolo importante nel diffondere e coprire le notizie. La maggioranza degli iraniani ha il satellite e guarda le notizie dei canali persiani come BBC Persian e Voice of America. Dunque alla fine gli sforzi del Governo di bloccare l’accesso ai media liberi e autorevoli sono vani».
A proposito di come aggirare la censura ci racconti di Hossein Ronaghi Maleki.
«Negli ultimi mesi che ho vissuto in Iran, ogni due settimane io e molti altri blogger e giornalisti ricevevamo sue email sotto lo pseudonimo “Babak Khoramdin” che contenevano nuovi indirizzi antifiltraggio o l’elenco di domini che erano stati bloccati dal Governo. Così quest’uomo ha aiutato tanti utenti della rete a bypassare la censura e ad avere accesso alle informazioni. Fino a quando è stato scoperto ed arrestato».
Quali sono gli strumenti che il Governo usa per mettere sotto silenzio le voci libere della rete?
«Il Governo iraniano si vanta di essere uno dei pochi al mondo a disporre di un sofisticato cyber-esercito. Consapevole dell’influenza della rete è diventato molto attivo sul web: ha aperto diversi blog, postato commenti a favore del regime nei video su YouTube relativi al Movimento Verde (una serie di avvenimenti che sono accaduti a seguito delle Elezioni presidenziali iraniane del 2009) chiamando idioti o bugiardi gli oppositori del regime. Dispongono di notevoli mezzi economici, organizzazione e strumenti avanzati e li usano per la propria agenda politica».
Guardando alla Rivoluzione verde in Iran del 2009, i media occidentali non hanno sopravvalutato il ruolo di Internet?
«Penso di sì. Non dobbiamo dimenticare che Internet è solo uno strumento, ciò che conta sono le persone che vi stanno dietro. E il cambiamento nel mondo reale potrà accadere solo per mano di azioni reali non semplicemente stando dietro ad un computer ».
Come possono i media occidentali aiutare quei Paesi dove viene negata la libertà di espressione?
«Credo che in generale i media occidentali non diano una un’immagine corretta ed equilibrata del mio Paese. I cliché e gli stereotipi sono presenti e forti. Ogni volta che si vede un report sull’Iran c’è un video che mostra donne con il chador nero che protestano contro gli USA. A mio avviso i media occidentali dovrebbero seriamente ripensare il loro atteggiamento nei confronti dell’Iran e cercare di raccontare di più storie: le storie personali della gente, raccontare ad esempio la loro sofferenza e difficoltà a causa delle sanzioni economiche internazionali imposte».
Che cosa apprezza di più dell’Europa e che cosa le manca invece del suo Paese?
«Ciò che apprezzo di più dell’Europa è il fatto di vivere i tempi e l’atmosfera di un continente in pace dopo le guerre fatte per la democrazia. Mi piace anche che l’Europa sia piena di bei musei. Ho sempre amato visitare i musei è un’ottima opportunità per conoscere la storia di altri Paesi.
Ci sono molte cose che mi mancano del mio Paese. Più di tutte mi manca ascoltare, parlare la mia lingua, il persiano. Ho nostalgia del saluto del taxista, del buongiorno del commerciante, dei cartelli stradali e delle pubblicità, di tutte quelle cose insomma per le quali ti senti appartenere alla tua società, alla tua cultura, alla tua gente. La mia gente che conosco così bene, che ama scherzare e con la quale ho condiviso e condivido la storia e le sofferenze. Sono cresciuta a Teheran, una città circondata dalle montagne. Ero abituata ad alzarmi al mattino e godere della vista su queste splendide catene montuose sovrastanti la mia città. Spero un giorno di poterci tornare e rivedere tutto questo ».
Pubblicato su: Corriere del Ticino, 10.12.2012
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