Corriere del Ticino, 03.05.2011
Da qualche giorno sulle pagine dei più importanti giornali svizzeri si svolge un acceso dibattito sulla necessità, l’utilità e soprattutto l’attendibilità degli studi e delle ricerche scientifiche applicati al mondo dei media e dell’informazione. Ad innescarlo è stata la ricerca commissionata dal Bacom, Ufficio federale delle comunicazioni, assegnata a cinque team provenienti da diversi centri di ricerca svizzeri. Titolo: «Il futuro dei media in Svizzera». Scopo: indagare le basi economiche sulle quali poggiano le imprese mediatiche svizzere, le conseguenze della concentrazione mediatica sulla pluralità d’opinione, le opportunità future dei diversi media così come le conseguenze del web su stampa, radio e Tv, in particolare sulle pratiche giornalistiche e le norme che regolano la professione, così come degli sviluppi economici nell’ambito del panorama mediatico svizzero.
Budget totale messo a disposizione per il progetto: 385.900 franchi.
Risultato finale dello studio: la tiratura dei quotidiani è in costante diminuzione mentre aumentano invece pubblicità e utenti nei media elettronici; confermato il postulato secondo il quale i media svizzeri sono poco qualitativi e anzi c’è una tendenza a peggiorare; necessità di introdurre sovvenzioni statali dirette per salvare quei media indispensabili per la salvaguardia della democrazia. Non stupisce che chi sul campo fa informazione tutti i giorni si sia sentito punto nel vivo e non ci stia a prendere lezioni dall’accademico di turno che non ha idea di quello che succede nel mondo reale.
Secondo Kurt Zimmermann, editorialista della Weltwoche, la ricerca contiene luoghi comuni irrilevanti, Thierry Meyer nel blog del Tagesanzeiger.ch accusa i ricercatori di egotismo e «le scienze di screditare i media».
Norbert Neininger-Schwarz, editore e direttore di Schaffhauser Nachrichten, critica invece la metodologia usata e lamenta la poca chiarezza espositiva della ricerca rendendone difficile la comprensione della stessa e dei suoi risultati.
Più diretto il commento di Andrea Masüger su medienspiegel.ch che si dice preoccupato della crescente tendenza in atto nel mondo scientifico a prendere posizione contro l’operato dei medi e vede i giornalisti «accerchiati da esperti» che fanno degli studi che non servono a nessuno.
Di certo non è la prima volta che i risultati di una ricerca sui media non vengano ben accolti da chi opera nel settore. La tendenza generale solitamente è quella di ignorarli accuratamente e comunque di diffidare. Per diversi motivi: sono spesso troppo complessi, pubblicati in riviste scientifiche e di settore, ma solo raramente comunicati in modo chiaro alla stampa generalista, si discostano troppo dalle questioni urgenti del mondo professionale e difficilmente sono di pubblico interesse. Ma sono altresì vitali e preziosi per comprendere le dinamiche, le evoluzioni e i problemi che sottendono il mondo dell’informazione e dei media e possono avvalersi di mezzi, risorse, conoscenze specifiche qualificate dei quali i media non dispongono.
Dunque ben venga il dibattito pubblico innescato dalla stampa generalista, in particolare dalla NZZ, perché indica che i tempi sono maturi per un confronto aperto e costruttivo tra professionisti ed esperti.
Certo solo una collaborazione, una comunicazione più attiva tra le due parti potrà in futuro migliorare la qualità dei risultati di ricerca e far sì che essi possano davvero essere indispensabili e utili all’atto pratico, non solo nella teoria, a chi tutti i giorni fa informazione.
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