Che il modello dell’editoria digitale sia tutto rose e fiori, un vero giardino dell’eden rispetto alla giungla dell’editoria tradizionale dove si devono sostenere costi di carta, stampa e distribuzione è una favola, un puro luogo comune. Nonostante il contributo derivato dalla vendita i margini di guadagno degli editori saranno sempre e comunque in larga misura dipendenti dalla pubblicità. Al netto di tutte le spese l’utile è solo una frazione del prezzo stabilito all’edicola digitale poiché i meccanismi che regolano la distribuzione smartphone e tablet, per il momento ascrivibile principalmente alle piattaforme iPhone e iPad di Apple, prevede, da parte di quest’ultima, una trattenuta del 30% sul costo dell’abbonamento. Una tassa di gran lungua superiore a quella decisa da Google che sulle apps Android applica il 10%
Itunes store è diventata di fatto l’edicola dell’industria digitale. Un contratto capestro per gli editori, un modello di business impostato ad arte da Steve Jobs per trarre il massimo dei profitti da un mercato in rapida e progressiva espansione. Un modello che per gli editori implica un effetto collaterale di non poco conto: la cessione ad Apple dei dati personali di coloro che sottoscrivono l’abbonamento. Un disvalore per l’industria editoriale: nell’era digitale l’identità degli abbonati ha infatti un elevato potenziale di rendita pubblicitaria. Non a caso le internet companies di ultima generazione, vedi Facebook, sono valutate essenzialmente dal numero di informazioni personali dei propri utenti.
Una politica, quella di Apple, che non è mai stata ben accolta e sulla quale si è innescata una battaglia per una maggiore indipendenza. Il primo a muovere contro Steve Jobs è stato il Financial Times, ma uguale pressione è stata esercitata dal New York Times e altri importanti newspaper. Il giornale della City è così riuscito a convincere Apple a modificare le regole d’ingaggio, ovvero far sì che gli abbonamenti alla versione del quotidiano potessero essere attivati direttamente dal proprio sito, bypassando le forche caudine dell’iTunes Store. Un risultato che permette al”editore britannico di avere un rapporto diretto con i propri lettori ed essere il depositario dei loro dati personali.
Ma la sfida del FT è andata oltre: creare una versione digitale basata su browser alternativa alla versione nativa per iPad. In questo modo l’utente accede alla versione digitale direttamente da Internet. Un modello implementato utilizzando la tecnologia HTML5 che permette all’editore di avere completa indipendenza in termini commerciali e di non pagare a Apple il dazio del 30% Ovviamente questo non significa escludere la possibilità di acquisto dell’applicazione nativa per iPad dallo store di Apple, essendo quest’ultimo il canale più popolare per l’acquisto di prodotti digitali.
L’operazione del FT ha poi un ulteriore vantaggio: rendere il quotidiano digitale sviluppato in HTML5 disponibile su tutti i prodotti tablet in quanto sviluppato secondo una logica platform indipendent. Essendo browser based il prodotto digitale è un servizio internet e può essere erogato utilizzata su un qualsiasi dispositivo sia esso targato Apple, Google o Microsoft.
Su un modello simile a quello del giornale finanziario inglese si sta muovendo anche una componente importante dell’industria editoriale francese. L’idea è quella della creazione di ePresse, un’edicola digitale nata dall’associazione di otto testate (i quotidiani Le Figaro, Le Parisien, Libération, Les Echos, L’Equipe e i settimanali Nouvel Observateur, L’Express e Le Point) per contrastare il duopolio di Apple e Google.
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