Il giornalismo sportivo, i mondiali e i social media

11 Luglio 2014 • Digitale, Ricerca sui media • by

I #Mondiali2014 sul campo stanno per concludersi, ma traccia del loro passaggio rimarrà ben ancorata nei motori di ricerca per molto tempo ancora. Oltre allo “speciale” servizio informativo di Google, in Rete non si è mai assistito prima d’ora a una così persistente e costante copertura social-mediatica (via Twitter e altri social network) di un evento sportivo mondiale. Basti per esempio pensare che solamente durante la fatidica partita dell’Italia con il Costa Rica sono stati postati circa 3,2 milioni di Tweet e la semifinale tra Germania e Brasile è diventato l’evento sportivo più twittato di sempre.

 

Questi numeri ci ricordano ancora una volta di quanto a fondo i social media siano entrati nel nostro quotidiano, e di come il loro utilizzo – nel bene e nel male – influenzi il modo in cui apprendiamo le notizie e di conseguenza il modo di lavorare dei giornalisti, soprattutto di quelli che trattano eventi molto sentiti, come i mondiali di calcio.

La tecnologia dei social media e del Web 2.0 da un lato rende il mestiere del giornalista più facile, permettendo la raccolta e la verifica di informazioni in tempo reale; da un altro, pone elevate esigenze perché sono necessarie abilità e competenze tecniche che non tutti i giornalisti della “vecchia scuola” possono avere. In altre parole, Twitter e i social media sono una banca dati fenomenale e fondamentale per il lavoro di un giornalista 2.0. Tuttavia, chi non è in grado di lavorare su più piattaforme (ossia essere “convergente”) e a mantenersi aggiornato, rischia di non restare al passo.

Questo ambivalente ruolo dei social media emerge in modo preponderante da uno studio di Edward Kian e Ray Murray della School of Media & Strategic Communications dell’Oklahoma State University, sull’impatto di Twitter sul lavoro e sulla routine dei giornalisti che si occupano di sport, pubblicato sulla rivista ufficiale dell’International Symposium on Online Journalism (#ISOJ). Lo studio ha investigato gli atteggiamenti e le percezioni dei giornalisti sportivi nei confronti dei social media (Twitter in particolare) e ne ha descritto le esperienze d’uso.

Sebbene sia basato su un campione piuttosto modesto di partecipanti (12 giornalisti sportivi di quotidiani americani, aventi diffusione superiore alle 30mila copie), lo studio rivela comunque un interessante rapporto di amore-odio tra loro e Twitter: anche se lo usano per cercare notizie e postare i propri pezzi pubblicati su carta, si dedicano molto poco all’interazione con i propri follower e a creare engagement.

Dal punto di vista dei contenuti, i social media sono visti con una certa diffidenza: “Twitter”, dichiara uno degli intervistati, “ha banalizzato il giornalismo sportivo in nome della necessità di arrivare prima e subito sulla notizia”. Questo ha anche favorito l’emergere di blog di successo – come Deadspin, negli Usa – che minano la credibilità del lavoro del giornalista e hanno modificato completamente il cursus honorum tradizionale della professione nell’ambito sportivo.

Il Web 2.0 quindi è visto con particolare diffidenza, almeno nello studio di Kian e Murray, risultato che ha stupito i ricercatori stessi. Secondo alcuni degli intervistati, ad esempio, Internet avrebbe contribuito alla rovina dell’industria dei giornali statunitensi, minando la sicurezza del lavoro del tradizionale giornalista redazionale. Tuttavia questo ha anche fatto emergere nuove professionalità e la necessità di essere “giornalisti 2.0”, più flessibili e migliori imprenditori di se stessi, soprattutto per chi segue eventi sportivi.

Quanto all’apporto di Internet e dei social media sull’idea di breaking news, alcuni partecipanti allo studio hanno dichiarato come anche arrivare primi su una notizia abbia cambiato significato e, nonostante la crescente competizione digitale, non sia poi così importante. Un intervistato ha anche dichiarato come, prima dell’avvento di Internet, i giornalisti avrebbero avuto l’incubo di comprare i giornali concorrenti e di vedere una notizia non pubblicata dal proprio giornale, mentre adesso “si viene battuti di 15 minuti, e nessuno se ne accorge davvero”.

Paradossalmente, anche se dallo studio emerge un rapporto che non è dei più felici tra giornalisti sportivi e strumenti digitali, è bene notare come proprio i reporter sportivi siano spesso tra i maggiori adopter delle tecnologie digitali. Ne è un ottimo esempio la Espn che, proprio in occasione del clamoroso 1-7 di Brasile – Germania, ha visto la sua “social media war room” lavorare a pieno regime, come racconta AdWeek: 15 persone a ritmo serrato, con aggiornamenti su ogni piattaforma disponibile, Vine e Instagram comprese. Proprio durante la semifinale, l’emittente americana ha anche registrato il record di like su Facebook per un suo contenuto.

Kian, E. M., & Murray, R. (2014). Curmudgeons but Yet Adapters: Impact of Web 2.0 and Twitter on Newspaper Sports Journalists’ Jobs, Responsibilities, and Routines. # ISOJ Journal, 4(1): 61-76.

Photo credits: Crystian Cruz / Flickr CC

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