Nell’immaginario collettivo si tende a pensare che il giornalismo su web sia una semplificazione del giornalismo cartaceo. Sia da un punto di vista economico – da un prodotto fisico si passa a un prodotto digitale, nessuna necessità di implementare una logistica distributiva, nessuna necessità di stampare – sia da un punto di vista giornalistico – dalla rigidità del layout cartaceo si passa alla flessibilità e all’efficienza produttiva del web. Ahimè, una semplificazione. Quantificare esattamente il risparmio non è un esercizio banale. Una stima abbastanza credibile, seppur del 2008, valuta i costi industriali della produzione cartacea (stampa e distribuzione) in una percentuale variabile tra il 55% e il 75%. In un contesto only web il costo industriale ascrivibile all’infrastruttura tecnologica è invece valutato intorno al 10%, il che vuol dire un risparmio minimo di oltre il 40%. Straordinario! Se la fonte di ricavi pubblicitari su web fosse equivalente a quella cartacea nessun editore stamperebbe più nulla, solo i nostalgici.
Eppure, nonostante l’economicità del web, credo che quelle cifre siano eccessivamente ottimistiche, soprattutto alla luce di ciò che sta diventando il giornalismo online. Ai costi dell’infrastruttura tecnologica di base – connettività, licenze hardware e software – si devono aggiungere costi crescenti associati di gestione, competenze e risorse che non avevano nessuna ragione di esistere nel prodotto cartaceo e che assumono invece una rilevanza estrema in un contesto web
La capacità di operare con successo dipende in larga misura dall’abilità di sfruttare tutte le opportunità e i meccanismi propri di internet. Certo, non secondario, è sempre e comunque la qualità dei contenuti, ma se il testo prodotto su carta venisse trasferito su internet senza subire nessun adattamento l’operazione si tradurrebbe in un fiasco completo. Per quanto gli articoli possano essere considerati di qualità, la produzione online deve rispondere a criteri giornalistici molto più sofisticati. Per sfruttare al meglio quanto offre il web si dovrebbe ripensare l’intera organizzazione del lavoro tradizionale, sovvertire il vertice della piramide editoriale, la carta, e porre il web come valore gerarchico prioritario. Significa avere competenze giornalistiche diversificate, adatte a lavorare in un contesto multimediale e, nel contempo, avere un sempre più alto profilo tecnologico, orientato alla gestione dei dati e delle informazioni.
Mediamente i giornali italiani hanno investito poco nel web e non hanno avuto grande coraggio nell’intraprendere un percorso verso una diversa organizzazione del lavoro. Il giornalista continua a essere il soggetto centrale nella produzione dei contenuti, ma la tecnologia diventa ancor più essenziale, poiché nessun contenuto, per quanto interessante, può essere valorizzato senza un diverso, più intensivo e creativo utilizzo della tecnologia. In definitiva, è tra più una stretta integrazione tra giornalismo e tecnologia che può nascere un giornalismo efficiente e di qualità. Perché questo succeda deve esistere un forte impegno della proprietà editoriale nel perseguire obiettivi di rafforzamento e miglioramento della produzione. Il che significa operare su diversi piani:
- in tecnologia
- in re-ingenerarizzazione dei processi
- in una trasformazione complessiva delle risorse
- in una diversa organizzazione del lavoro
- in produzione di contenuti web-enabled
Attività che comportano ingenti investimenti e una grande disponibilità al cambiamento, sia da parte dell’editore, sia da parte dei giornalisti. Gli investimenti sul web sono stati sinora contenuti. La trasformazione dell’assetto editoriale cartaceo in un assetto pienamente integrato paper-web è stata ricercata con convinzione da pochi e rappresenta l’elemento di debolezza primario che ostacola il raggiungimento di obiettivi di innovazione. Per quanto riguarda tutti coloro con un passato ereditato dalla carta stampata esistono eccezioni. Eccezioni, appunto, che non confermano la regola e che dimostrano che il web giornalismo, perchè possa essere efficace, e dimostrasi superiore alla carta in termini di offerta complessiva, necessiti di investimenti sostanziali e un ripensamento generale del modo di lavorare.
Tutto questo non può dipendere dalla buona volontà dei singoli giornalisti, ma deve essere una conseguenza diretta di una cultura editoriale e insieme giornalistica in grado di produrre metodologie e regole. Come dire, determinare un approccio strutturato all’informazione. Certo, gli investimenti non sono alla portata di tutti, ma risultati incoraggianti possono essere raggiunti se esiste una reale convinzione e un impegno costante nel ricercare la formula più efficace per dare alle persone un’esperienza di lettura più ricca e più appagante rispetto a quella proposta su carta.
A livello internazionale, tralasciando i casi delle testate economico-finanziarie, vedi WSJ e Financial Times, sono due i giornali a spiccare per l’innovazione prodotta su web: l’americano New York Times e l’inglese The Guardian. Guardando entrambi i siti ci si accorge dell’estrema attenzione posta sulla gestione dei dati e delle informazioni, un approccio conseguente la consapevolezza del valore aggiunto, unico e irripetibile, del digitale rispetto al cartaceo: la possibilità di rendere sempre e comunque disponibili, secondo criteri di ricerca opportuni, tutte le informazioni pubblicate. In pratica la possibilità di creare una sorta di enciclopedia giornalistica. L’informazione su web, al contrario di quanto avviene sulla carta, non è usa e getta, ma crea le premesse per riuscire a produrre un ambiente informativo contestualizzato, integrato.
Si ripete spesso spesso che il giornale è approfondimento, il web le notizie. Non è vero, dipende da come si vuole utilizzare il web. Un esempio: il NYT riporta in homepage (4 marzo) un articolo sulla crisi della Libia e i possibili risvolti economici dell’Italia, lunghezza del testo 7 mila caratteri. Nell’articolo risulta evidente come il sistema di publishing sia strutturato per far sì che alcuni termini, opportunamente linkati, portino il lettore a microportali, dove viene data la possibilità di comprendere di chi e di che cosa si sta parlando. Chi è Gheddafi, cos’è l’Unione Europea o la corte penale internazionale? Mai dare per scontato che il lettore sappia tutto. Così come se si parla di Italia, di petrolio, di NATO ciascun termine è linkato alla propria rispettiva pagina esplicativa. La notizia di cui si parla viene contestualizzata mettendo il lettore in grado di avere una comprensione del quadro di riferimento generale della storia che viene riportata nell’articolo. Non mancano link a pagine esterne al giornale, un bene.
Per molti giornali l’idea di trasferire il lettore su contenuti di proprietà altrui viene invece considerata controproducente. Sono invece dell’opinione che l’apertura a contenuti e fonti esterne possa servire ad aggiungere un’informazione più completa. Insuperabile, infine, appare il contributo multimediale inserito a complemento dell’articolo: con un solo click si può avere una rappresentazione sintetica delle dinamiche in gioco, offrendo al lettore contestualizzazione e rapidità di comprensione. Per offrire una esperienza di lettura di questo genere servono investimenti, serve una metodologia, servono una molteplicità di risorse con differenti skill. Non è improvvisazione. L’attribuzione dei link ad alcune delle parole utilizzate non è casuale, ma suggerita dall’intelligenza del sistema di publishing stesso.
Emily Bell, direttore del Tow Center for Digital Journalism della Columbia University, afferma che per avere successo non basta essere sul web, ma essere parte di esso. Occorre – dice Bell – avere un atteggiamento mentale digitale ed essere disposti a condividere tutti gli aspetti controversi dell’informazione online. E non potrebbe essere diversamente, esplorare nuovi percorsi non è mai stato semplice e non esiste alcuna certezza sull’esito delle scelte che si compiono oggi. Tuttavia si trascura il fatto che, in assoluto, è il prodotto cartaceo a essere esposto a un più alto rischio esistenziale. Ed è da questa consapevolezza che deve perciò emergere la volontà di investire e trovare la forma organizzativa più adatta per tradurre in successo le opportunità. Redazioni integrate? Può essere, dice Bell, ma è una soluzione che può rivelarsi priva di vantaggi se le responsabilità di definizione e controllo dei nuovi processi continuano a rimanere in mano alla gerarchia della carta stampata. La disponibilità al cambiamento si traduce nella volontà di mettere in moto meccanismi governati da persone che credono fermamente nel business online poiché, nel suo insieme, la carta stampata, nell’opinione di Bell, rappresenta un freno all’innovazione.
Michele Mezza, vicedirettore di Rai International e autore del libro “Sono le news, bellezza!”, è convinto che ci si debba rapidamente adeguare alle nuove realtà del mercato, riconfigurare radicalmente la filiera del valore della produzione redazionale, mettendo internet a monte e non a valle del processo produttivo. Ma per riuscire in un’operazione di questo genere è inutile dire che è del tutto fuori luogo e semplicistico prendersela comunque e sempre con i giornalisti, raffigurati come coloro che ostacolano il cambiamento. A questo proposito l’opinione di Mezza è che rivendicazioni come quelle avanzate del direttore del Corriere della Sera siano assolutamente condivisibili: “ormai un giornalista non può separare la sua attività convenzionale da quella sulla rete, sia nella fase di incubazione del proprio articolo che in quella della pubblicazione. Semmai aggiungerei, che nella trasformazione che il web comporta per il profilo professionale del giornalista deve essere coinvolto anche la stessa figura del direttore, che non può pensare di mantenere inalterate tutte le sue prerogative, imponendo solo agli altri di cambiare”.
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