La persona digitale come protesi della persona reale

1 Agosto 2012 • Digitale • by

Il primo ad utilizzare il termine “Villaggio globale” è stato Marshall McLuhan nel suo libro “Understanding media: the extensions of man”. Voleva indicare come con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, il mondo sia diventato più piccolo e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. McLuhan è considerato un precursore del suo tempo e un grande interprete del nostro, grazie all’enorme contributo teorico nell’ambito di media, comunicazione e tecnologia e della loro influenza sulla psiche umana, sulle dinamiche sociali, sulle arti, sulla letteratura, sulla formazione, sul lavoro e sull’economia.

All’Accademia dei Lincei, nel cuore di Trastevere, per chiudere il centenario dalla nascita di McLuhan si è tenuto un convegno dal titolo “Influenze trasversali sulla Persona Digitale” organizzato dall’Osservatorio TuttiMedia e da Media Duemila con la presenza del massmediologo Derrick de Kerckhove, erede del sociologo canadese. L’incontro è stato un’occasione di riflessione sull’attuale scenario digitale: “La profezia di McLuhan si è avverata – ha sottolineato Paolo Peluffo, sottosegretario all’Editoria – e oggi assistiamo ad una rottura tecnologica paragonabile alla scoperta del telegrafo. Il digitale ci ha portato ad un enorme aumento della libertà, alla costruzione di elementi comunitari reali. Se il nostro paese riuscisse a sfruttare le potenzialità della rivoluzione digitale, potrebbe intraprendere un percorso per uscire dalla crisi”.

In collegamento dall’Australia il consulente di marketing ed esperto di cultura digitale Roger Clarke, il primo a discutere di Persona Digitale, ha parlato di inconscio digitale seguendo quattro categorie della persona nascosta: la prima è una persona che non è a conoscenza degli archivi che conservano i suoi dati sensibili, seguita da una persona che è a conoscenza degli archivi su di essa ma a cui non può accedere, una terza persona che è a conoscenza degli archivi e ne ha accesso ma non conosce i codici per decodificare le informazioni su tali archivi (come la scrittura di un medico), l’ultima categoria è una persona che nonostante abbia accesso ai suoi dati sa che ad essi sono state sottratte delle informazioni che la profilano senza conoscerne il motivo. “Tutti abbiamo più digital persona, ogni dispositivo o connessione fa in modo che l’individuo possa creare nuove identità. E’ importante tenere separate queste identità prevenendo l’azione delle aziende, come Apple, che cercano di unificare le varie identità per controllarle”.

Derrick de Kerckhove, direttore scientifico di Media Duemila, ha riportato le riflessioni di Joi Ito, direttore del Mit Media Lab, sul tema dell’inconscio digitale: un processo vasto e caotico non definito che può essere influenzato ma non controllato. Come crescere un bambino che non è programmabile ma condizionato dai suoi genitori. Per Joi Ito la Persona Digitale non è posseduta ma piuttosto è più persone contemporaneamente: “L’idea di persona è un’ossessione di noi occidentali” ha detto.

“La questione fondamentale – secondo De Kerckhove – rimane la necessità di scindere tra il progetto individuale di una persona digitale e l’imposizione della stessa: se il primo caso è da ritenersi un arricchimento, il secondo può essere limitante oltre che pericolosamente antidemocratico”.

Mario Morcellini, direttore del dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, ha dato il via al suo discorso ricordando cosa è stato McLuhan: “Un maestro che lascia segni là dove vengono raccolti”, ha poi analizzato come oggi siamo impegnati a studiare le conseguenze sociali del digitale. Il professor Morcellini ha spiegato l’etimologia del termine “persona”: “Deriva dal latino ‘per sonnet’, una sorta di maschera che veniva indossata dagli attori di teatro per amplificare la propria voce in modo che potesse essere udita sino agli ultimi spalti del teatro. Nasce quindi per indicare la comunicazione – ha avvertito – Le tecnologie dovrebbero essere vissute con un foglietto illustrativo, come il famoso bugiardino dei medicinali, che dica ‘leggere attentamente l’impatto educativo’. Dobbiamo pensare la persona digitale come una protesi della persona reale”.

Tutti gli ospiti hanno concordato che il futuro della comunicazione sarà sempre più “tablet e social” come ben si vede nel video (“per mia figlia una rivista è un IPad che non funziona”) proposto durante il convegno. “Il concetto di libertà è ormai dipendente da quello di interconnessione e di diffusione dell’accesso a Internet, anche se è importante comprendere e ribadire che il web non può sostituirsi all’esperienza concreta, all’esplorazione fisica” ha affermato James Fox dell’Ambasciata del Canada, orgoglioso concittadino di McLuhan considerato: “Un grande navigatore che ci ha insegnato a percorrere un processo indefinito di ricerca, ponendosi le giuste domande non in funzione delle risposte aspettate”.

Al convegno hanno partecipato tanti ospiti illustri che sono riusciti a fornire molti spunti interessanti, i più importanti dei quali sono stati citati qualche riga più sopra, ma non sono mancate alcune contraddizioni. La prima balza subito agli occhi: la tavola rotonda era formata da undici persone, tutti uomini. Possibile che nessuna donna sia stata invitata a parlare su queste tematiche?

Secondo contrasto: il più giovane dei relatori avrà avuto circa cinquant’anni, non sarebbe stato opportuno e interessante l’intervento di un trentenne che si occupa di questi argomenti nel lavoro e nella vita di tutti i giorni? Un ragazzo che portasse la sua visione, sicuramente diversa da un uomo che potrebbe essere suo padre?

Terzo: è possibile che siamo in un convegno a parlare di era digitale, futuro social e web 2.0 e non c’è né una diretta streaming né una hashtag dell’evento comunicata per tempo? Insomma un dibattito in cui di multimedialità e comunicazione si è soltanto parlato.

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