Londra – Cos’è l’anonimato in un mondo online iperconesso e ipertracciabile? Siamo davvero pronti? La questione è ancora più centrale nel contesto post-Snowden e, durante una session dell’ultimo MozFest di Londra, si è discusso del modo in cui la si tratta normalmente. Il panel, intitolato “Are we ready for anonymity?”, è stato moderato da Magdalena Taube della Berliner Gazette e da Francis Tseng del Coral Project.
La privacy derivante dal non essere identificabili online può rafforzare la libertà di espressione e proteggere le persone nei contesti di governi oppressivi. Ma può anche proteggere dai propri pari, fornendo la possibilità di dire cose senza essere identificati dal proprio nome, il proprio genere e altre preoccupazioni connesse alla propria identità. Nel giornalismo, l’anonimato è irrinunciabile per le fonti e consente ai whistleblower di farsi avanti per esporre abusi o reati.
L’anonimato è però spesso trattato con lenti negative, come un modo che hacker, troll, terroristi, pedofili e criminali in genere hanno per poter agire indisturbati. Sulla scia di questa impostazione, molti governi hanno alzato barriere contro l’anonimato online, promulgando nuove policy e leggi molto restrittive.
Ma l’anonimato in rete è davvero possibile? Data l’escalation di tracciabilità delle interazioni sul web degli utenti e la facilità di intercettazione delle comunicazioni digitali, è possibile che l’anonimato sia diventato un’utopia?
Il panel al MozFest nasceva da un workshop organizzato dalla Berliner Gazzette lo scorso ottobre sotto il cappello della conferenza UN|COMMONS. L’evento, che ha avuto luogo a Berlino, ha chiamato a raccolta giornalisti, attivisti e ricercatori che si sono concentrati su “tutte le risorse che sono state privatizzate e rese inaccessibili, ma che potrebbero diventare beni pubblici in futuro”.
Un progetto parte di quella conferenza, “Are we up for anonymity?” , ha sviluppato un workshop di storytelling interattivo dedicato alla questione della riservatezza in rete. L’iniziativa è partita guardando come l’anonimato funziona in pratica, con esempi dalla Bielorussia, un paese che si posiziona al 157esimo posto (su 180) nel World Press Freedom Index. Due testate giornalistiche del paese che si occupano di questi argomenti e che puntano a promuovere il coinvolgimento dei cittadini hanno esposto le loro, differenti, strategie nei confronti dell’anonimato.
Il giornale online di Minsk CityDog, ad esempio, si concentra su storie personali di eroi cittadini e di persone comuni. La loro policy è cercare di evitare l’anonimato il più possibile, ma in certi casi, ad esempio quando le loro fonti chiedono di non essere citate, rispettano la loro volontà. Un’altra testata solo digitale, invece, 34Mag, a sua volta attiva a Minsk, si affida all’anonimato per i suoi giornalisti. La sua policy è dovuta alla chiusura forzata da parte delle autorità di un suo magazine cartaceo satellite, Students’ Thoughts Magazine, avvenuta nel 2005 e il conseguente arresto del direttore in carica all’epoca dei fatti.
Il progetto “Are we up for anonymity?”, sviluppato su WordPress e pubblicato con una licenza Creative Commons CC BY NC SA, fornisce anche una cassetta degli attrezzi per l’anonimato e consigli per l’utilizzo di strumenti di crittografia come Virtual Private Network (Vpn), Tor e motori di ricerca orientati alla privacy, come DuckDuckGo.
Articolo tradotto dall’originale inglese
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