W. Russell Neuman, professore di studi della comunicazione alla University of Michigan, professore associato di studi della comunicazione alla Northwestern University e Olivia Curry, assistente alla ricerca presso la Northwestern University, hanno pubblicato sulla rivista statunitense The Information Society i risultati del loro studio “Taming the Information Tide: Information Overload in the American Home”. Una sintesi del risultati è stata resa disponibile recentemente dalla Northwestern University che ha concesso al sottoscritto, per conto dell’European Journalism Observatory, copia integrale della ricerca.
Sono stati condotti 7 focus group con un numero di partecipanti compreso tra 9 e 12 persone (totale 77 individui) ai quali sono state poste fondamentalmente due domande:
a) Come vi tenete aggiornati, informati, su ciò che avviene nel mondo?
b) Come vi sentite sulla quantità di informazioni disponibili?
Nonostante vi siano state delle persone che hanno citato il loro disagio da alcuni aspetti dei “new media” e in qualche raro caso addirittura oppressi dalla quantità di informazioni, nella maggioranza dei casi il tono generale delle discussioni è risultato essere positivo. La maggioranza delle persone ha espresso soddisfazione e apprezzamento per la quantità e la varietà di informazioni disponibili in Rete.
I principali fattori di frustrazione sono, nelle dichiarazioni delle persone, il sensazionalismo e la partigianeria, la parzialità, crescente di alcuni canali televisivi, le distrazioni causate da social network (Facebook e Twitter) che veicolano informazioni non richieste e la difficoltà di distinguere l’informazione attendibile e professionale da quella che non lo è.
Complessivamente la stragrande maggioranza dellle persone ha dichiarato di essere entusiaste e di sentirsi arricchite, “empowered”, dalla quantità di informazioni disponibili, apprezzando la possibilità di avere informazioni da fonti diverse e sottolineando come fossero propense a leggere informazioni con opinioni diverse dalle proprie. Un aspetto, il secondo, che è stato sottolineato con forza, di rifiuto della “filter bubble”.
Serendipità che sarebbe confermata anche da un altro studio, condotto da Borchuluun Yadamsuren della University of Missouri School of Journalism, dal quale emerge come le persone molto spesso acquisiscano informazioni, vengano a contatto con le notizie in maniera del tutto casuale mentre sono impegnate in altre attività online.
Se, parrebbe, l’infobesità non costituisce un problema, resta per l’industria dell’informazione la necessità di coinvolgere maggiormente i lettori sia in termini di tempo dedicato, passato sul sito web, che a livello di fidelizzazione verso la propria testata. Un andamento lento che rappresenta certamente uno dei principali ostacoli allo sviluppo dell’area digitale dell’informazione.
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