“L’interesse degli open data è la democrazia stessa”, scrive Steven Adler per il Global Investigative Journalism Network parlando del potenziale benefico che i dati aperti possono avere sul funzionamento della democrazia. Chris Taggart deve aver avuto ben chiara in mente questa idea quando, nel 2010, ha co-fondato OpenCorporates, una startup il cui obiettivo è quello di creare il più vasto database di dati aperti sulle aziende al mondo.
Taggart ha presentato il suo lavoro a Personal Democracy Forum Italia, la conferenza dedicata alle maggiori implicazioni della società dei dati che si è tenuta a Roma lo scorso lunedì: OpenCorporates ha fin qui raccolto dati e informazioni su oltre 83 milioni di aziende in tutto il mondo in pochi anni, sfruttando il potenziale dei dati dei registri delle aziende e altri database simili. OpenCorporates aggrega e condivide queste informazioni in formati più coerenti e fruibili e le rende disponibili con una “share-alike attribution licence” sul proprio sito. In alcuni casi, invece, la startup chiede un pagamento: se i dati di Open Corporates non vengono ri-utilizzati in modo open, ad esempio, è richiesto un contributo economico che costituisce di fatto il business model del progetto.
OpenCorporates svolge anche il “lavoro sporco” dell’apertura di questi dataset, accedendo ad archivi digitali spesso obsoleti, scomodi da consultare o realizzati secondo standard non compatibili tra di loro. Un buon esempio di quello che l’azienda di Taggart realizza è quanto fatto di recente con Barclays Bank e la sua rete globale di aziende sussidiarie. Per aggregare queste informazioni, OpenCorporates ha connesso i dati racchiusi in tre diverse fonti: il New Zealand Company Register, lo US Federal Reserve’s National Information Center e i US Securities and Exchange Commission’s 10-K and 20-F filings. Il risultato è stato aggregato in una mappa che mostra in modo chiaro e consultabile le ramificazioni di Barclays Bank su livelli diversi.
Di recente, invece, in collaborazione con Kiln, OpenCorporates ha realizzato un ulteriore strumento di visualizzazione per mappare le immense ramificazioni delle sei maggiori banche americane in tutto il mondo, evidenziandone la presenza – con aziende controllate o sussidiare – anche in paradisi fiscali. Le mappe sono interattive e cliccando su una delle reti controllate, la connessione con il nodo centrale del network viene evidenziato. Qui sotto, un esempio realizzato per Goldman Sacks:
Tra le Ong che hanno beneficiato di OpenCorporates c’è anche Privacy International, un’organizzazione americana che si occupa di tutela dei dati personali e sorveglianza digitale. Grazie al database offerto dalla startup di Taggart, Privacy International ha realizzato il Surveillance Industry Index, il più ricco database delle relazioni commerciali delle aziende private che commerciano software per la sorveglianza:
Check out @privacyint Surveillance Industry Index which utilises @opencorporates: https://t.co/nwzNdW91wS #PDFItaly @CountCulture
— Mike Rispoli (@RispoliMike) 29 Settembre 2014
Il background di Chris Taggart è giornalistico e parte di questa impostazione è chiaramente visibile nel modus operandi di OpenCorporates che, pur presentandosi come piattaforma consultabile, ha un obiettivo che è apertamente informational. A #PDFItaly, Taggart ha anche parlato dei rischi connessi al suo lavoro: da quando OpenCorporates ha iniziato le sue attività, infatti, non sono mancati attacchi o esplicite minacce contro la circolazione di alcuni dati. Anche per questo, Chris Taggart ha una ricetta: “stand up to the bad guys”.
#PDFItaly @CountCulture shows some of the threats the @opencorporates project received pic.twitter.com/F1gK89HPlB
— Philip Di Salvo (@philipdisalvo) 29 Settembre 2014
Photo credits: OpenCorporates
Tags:data journalism, Ddj, giornalismo investigativo, Open Data, Privacy International, sorveglianza, trasparenza