I “Panama Papers” erano un compito temporaneo. Il pluripremiato lavoro collaborativo internazionale guidato dal giornale tedesco Süddeutsche Zeitung riguardava soprattutto gli uomini di potere: i reporter hanno speso un intero anno a setacciare i dati, cercando anomalie e dando seguito alle fonti. Ma doveva per forza essere tutto così faticoso? Alcuni giornalisti, i più ottimisti nei riguardi del giornalismo “robot”, credono che se ci fossero stati software sofisticati a supportare i 400 giornalisti di tutto il mondo nell’analisi dei dataset che hanno dato forma all’inchiesta, questi avrebbero potuto trovare di più e in meno tempo. Ma non è così semplice: l’intelligenza artificiale (IA) creerà nuove opportunità per il giornalismo, ma il progresso dei robot nelle redazioni comporta anche alcuni rischi significativi.
IA: la salvezza del giornalismo?
Innegabilmente ci sono enormi vantaggi nell’impiego dell’IA nelle redazioni. Non c’è da meravigliarsi quindi se diverse testate di tutto il mondo stanno muovendo i primi passi in questo settore. Un recente sondaggio del Reuters Institute for the Study of Journalism ha rivelato come il 69% dei media manager interpellati utilizzi già un qualche tipo di IA nella propria redazione. Anche il pubblico sembra accogliere l’idea con un certo favore: come hanno indicato i risultati del Digital News Report del 2017, il 54% di tutti gli intervistati ha preferisce già affidare a degli algoritmi la selezione delle notizie rilevanti, piuttosto che a degli esseri umani. La lista dei potenziali benefici è lunga. Primo, l’IA libererà i giornalisti dalle ripetitive e noiose rogne della routine quotidiana e li aiuterà a concentrarsi meglio su compiti più importanti. Secondo, l’IA farà meglio degli esseri umani in termini di volume di produzione e, potenzialmente, di accuratezza, come già dimostrano le redazioni che si servono di produzione automatizzata di rapporti finanziari e risultati sportivi.
Terzo, i robot saranno in grado di realizzare quel tipo di giornalismo hyperlocal che interessa al pubblico ma che nessun editore può permettersi di realizzare con costanza. L’esempio di un bot svedese che produce annunci immobiliari mostra come le storie automatizzate possano anche generare abbonamenti. Quarto, il fact checking automatizzato aiuta a evitare gli errori e fermare la diffusione delle fake news e della disinformazione, accrescendo così credibilità e fiducia (il pubblico detesta gli errori!). Quinto, il data journalism apre nuove ed eccitanti opportunità per le inchieste. “Quando usati e analizzati correttamente, i big data possono prevedere guerre e scioperi, attacchi terroristici, risultati elettorali e investimenti online, nonché aiutare i giornalisti a suggerire in anticipo ai lettori i cambiamenti nelle tendenze di moda, i disastri naturali, gli ingorghi automobilistici, modelli culturali e molto altro ancora”, come scrive Amir Ruskin nel libro Robot Journalism – Can Human Journalism Survive?, edito da Noam Lemelshtrish Latar (2018). Sesto, come gradito effetto collaterale, lavorare con l’IA e i dati formerà i giornalisti nello sviluppo di capacità ricercate in una più ampia gamma di mansioni. In un panorama mediatico sempre più competitivo, è fondamentale avere abilità che migliorino la propria attrattività nel mercato del lavoro. Settimo, “veri” robot e droni possono essere impiegati per operare in zone di guerra e raccogliere dati in ambienti pericolosi, riducendo così i rischi per i reporter e magari salvando delle vite. In più, ci sono anche i vantaggi derivanti dal miglioramento della relazione con gli utenti grazie all’IA, che personalizza i contenuti e supporta i giornalisti nello scoprire nuove storie e gestire il materiale a disposizione.
Brave New World?
Allora dov’è l’inghippo? Non dovremmo accelerare l’avvento dell’IA nelle redazioni se questa fornisce così tanti vantaggi? Beh, non così in fretta. Torniamo per un secondo all’esempio dei “Panama Papers”. Sì, i robot avrebbero potuto scavare più a fondo nei dati rispetto agli esseri umani, ma la maggior sfida del progetto non era rappresentata da una mancanza di informazioni, quanto piuttosto dalla decisione su cosa pubblicare e, soprattutto, cosa non pubblicare. Fra i maggiori dibattiti nella redazione della Süddeutsche Zeitung al tempo dei “Panama Papers” ce n’era uno in particolare: pubblicare troppo e rischiare che l’attenzione del pubblico svanisca? E quali sono le storie che non sono solo interessanti, ma anche rilevanti da un punto di vista politico o legale? L’IA non può essere d’aiuto con queste difficili decisioni – al massimo, può formulare dei suggerimenti. Alla fin fine, sono gli editor umani a dover decidere cosa pubblicare, non gli algoritmi.
L’avanzata dell’IA nelle redazioni può porre ancora un altro problema: esso rivela molto sulle performance dei giornalisti. In futuro sarà sempre più facile comparare il modo in cui i singoli autori contribuiscono al valore della compagnia, a seconda di quanto positivi sono i dati sui loro lettori e misurare e mettere a confronto il profitto sui singoli giornalisti può aumentare terribilmente la pressione in redazione. E può spingere le scelte editoriali in direzioni che non necessariamente rispondono al pubblico interesse (da non confondersi con l’interesse del pubblico). Un altro problema non da meno è come le terze parti, in particolare le piattaforme, trarranno profitto dall’abbondanza di dati che le redazioni stanno creando utilizzando l’IA. “Stiamo nutrendo un sistema sul quale non abbiamo alcun controllo”, ha detto a questo proposito Zulfikar Abbany di Deutsche Welle durante un workshop sul giornalismo robot organizzato dalla European Federation of Journalists a Lisbona. È un aspetto da non trascurare.
L’uso dell’IA potrebbe anche avere gravi implicazioni nel mercato del lavoro dei giornalisti. In un mondo ideale, l’IA libererebbe le risorse e aiuterebbe i giornalisti a concentrarsi meglio sui compiti importanti. Sfortunatamente, essa potrebbe anche essere utilizzata come mezzo per tagliare i costi. Prendi i robot, sbarazzati dei giornalisti. A dire il vero, anche se tale scenario non si realizzasse, risparmiare ai giornalisti il noioso lavoro di routine potrebbe avere conseguenze comunque negative. Per esempio, come faranno i giornalisti ad accrescere le competenze necessarie a realizzare quel tipo di reporting approfondito sul quale si suppone che l’IA dovrebbe permettere loro di concentrarsi? Generazioni di giornalisti hanno cominciato la propria carriera scrivendo notizie sui rapporti della polizia o coprendo eventi locali e questi compiti minori possono essere tediosi ma sono un buon esercizio per quel tipo di diligenza che è così necessaria all’eccellenza giornalistica. La crescente automazione e la personalizzazione basata sull’IA hanno anche un altro potenziale svantaggio. Adattando troppo i contenuti agli interessi del pubblico, alcune forme di giornalismo vitali ma meno attraenti potrebbero facilmente venire messi da parte. Soccombere alle leggi di mercato non è giornalismo. Giornalismo di alta qualità vuol dire anche costringere il potere a rendere conto delle proprie azioni e far sì che i cittadini si confrontino con gli aspetti meno piacevoli della vita. Il giornalismo non esiste solo per soddisfare la domanda dei consumatori, ma per servire la democrazia. Accontentare eccessivamente il pubblico attraverso la personalizzazione sarà la morte della libertà del giornalismo.
Come le redazioni dovrebbero abbracciare IA e automazione
Dove ci porta quindi tutto questo nel momento in cui iniziamo a impiegare l’IA nel giornalismo? A cosa dovremmo prestare attenzione nell’introdurre i “robot” in redazione? Per prima cosa, dovremo assicurarci che siano i giornalisti a dirigere davvero le redazioni, non i data scientist. Se gli esperti di dati sono sempre più necessari in ogni redazione e sono utili per fare scelte informate, le decisioni editoriali sui contenuti devono essere fatte da redattori e reporter formati nella definizione della rilevanza e nella questioni etiche e sociali. Secondo, non bisogna confondere l’efficienza col buon giornalismo. Anche se sono i bot a produrre i pezzi che generano gli abbonamenti, bisogna guardare a essi come a un mezzo per far circolare il più possibile i contenuti che danno più senso al fare giornalismo. Terzo, dobbiamo pensare a cosa accade ai dati creati nel processo. A parte il proteggere la privacy delle fonti e del pubblico, la valutazione delle performance dei giornalisti non dovrebbe essere legata alle metriche introdotte nelle redazioni dall’IA. A volte le storie che non si posizionano bene nella classifica dei “più letti di oggi” possono comunque avere un incredibile impatto politico o sociale. E quarto, bisogna gestire il “problema della pienezza”: fare di più di tutto ucciderà l’attenzione dei lettori. Alla fine della giornata, non avranno più energia per ciò che conta davvero.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta
Tags:algoritmi, automazione, intelligenza artificiale, robot, robot journalism