I giornali italiani? Per salvarli non servono solo nuove misure finanziarie. E tra fenomeni di innovazione e conservazione dilaga il precariato
La differenza sostanziale tra la stampa americana e la stampa italiana è che, nel momento di crisi più acuta dell’editoria, da una parte si tende a introdurre innovazione dall’altra si tende a invocare un più incisivo contributo assistenziale da parte dello Stato. Cambiare l’assetto dell’organizzazione del lavoro è l’obiettivo cui puntano i grandi giornali statunitensi, vedi Usa Today.
L’idea è strutturare le redazioni in una logica coerente con quanto richiesto dalle nuove piattaforme multimediali e multicanale, spostare progressivamente le risorse dalla carta stampata all’online cercando di individuare la massima integrazione tra i diversi team redazionali.
I giornali italiani, come dimostra la vicenda del Corriere, sono invece paralizzati da interessi corporativi. E mentre il mondo dell’informazione si trasforma radicalmente, si tende a privilegiare una logica conservativa che alla lunga può produrre soltanto un ritardo nel rispondere alle esigenze di un nuovo mercato.
Considerato che l’edizione stampata vende sempre meno copie, si legge nella notizia riportata dal WSJ, Usa Today sta ridefinendo ruoli di redattori, reporter e fotografi affinché siano messi nella condizione di poter produrre più rapidamente servizi che possano incontrare un interesse maggiore da parte di quelle persone che accedono alle notizie dall’online e da dispositivi mobili di nuova generazione come smartphone e tablet.
In Italia la Fnsi denuncia che “a causa della soppressione, di fatto, dei finanziamenti pubblici all’editoria e delle agevolazioni sulle tariffe postali sono ormai centinaia e centinaia i giornalisti e i lavoratori dell’informazione che hanno dovuto assistere alla chiusura, o alla sospensione delle pubblicazioni, delle loro testate”. E il futuro immediato appare ancora più nero. “Novanta testate, tra quotidiani e periodici, sono a rischio chiusura entro la fine dell’anno, 4-5mila tra giornalisti e poligrafici che rischiano di rimanere senza lavoro….”
Una situazione indubbiamente critica, su cui è indispensabile un intervento del Governo, così come accade in occasione di un qualsiasi manifesto stato di crisi di importanti settori dell’industria. Tuttavia appare incoerente auspicare un più importante impegno finanziario dello Stato a favore dei giornali senza che vengano contestualmente messe in discussione le regole del contratto giornalistico che limitano la capacità di operare attraverso un modello di business sostanzialmente diverso dal passato, negando invece una minima regolamentazione della dimensione del lavoro precario cui attinge a piene mani il vecchio e nuovo giornalismo.
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