Una reazione a catena diabolica

2 Dicembre 2004 • Editoria • by

Werbewoche, Nr. 43, 02.12.1004

L’etica bisogna saperla – e volerla – guadagnare anche nel giornalismo poiché anche in questo settore, a causa della concorrenza, una pecora nera è in grado di provocare un istinto gregale (poco) professionale.

Alcuni economisti americani da qualche tempo si occupano del perché, nelle società occidentali, si stanno diffondendo determinate forme di fallimenti morali. Andrei Shleifer dell’Università di Harvard, ad esempio, ritiene che l’indifferenza nei confronti degli standard etici non sia imputabile alla bramosia di singole persone bensì a ciò che sta alla base del sistema economico capitalista: la concorrenza.

Avvalendosi di cinque esempi – ovvero lavoro infantile, corruzione, stipendi manageriali, manipolazioni di bilanci e commercializzazione delle università – Shleifer dimostra come determinati modi di agire, che in passato erano banditi o addirittura punibili, diventano sempre più comuni e popolari per via della pressione esercitata dalla concorrenza. Schleifer parte comunque dal presupposto che gli attori responsabili apprezzino un comportamento etico corretto. (Nel suo caso si tratta di imprenditori o presidenti universitari, ma il principio si applica senza problemi anche ad altri gruppi professionali e quindi anche agli operatori dei mezzi di comunicazione.) Tale comportamento secondo Shleifer è tuttavia «un bene come tutti gli altri». In altre parole: sottostà agli stessi principi di mercato di domanda e offerta degli altri settori.

Ora, se alcuni giornalisti in concorrenza non si attengono agli standard onesti e alle regole di gioco del proprio settore, ma abbassano i prezzi, allora scendono anche i prezzi per determinati prodotti dei media sul mercato – e quindi anche gli introiti conseguibili dei prodotti concorrenti. Tale perdita ha come conseguenza che persino per i concorrenti del «trasgressore» il comportamento etico diventa troppo caro, ovvero non redditizio. La conseguenza: dagli operatori dei mezzi di comunicazione si richiede un atteggiamento meno etico e di conseguenza questi ultimi producono meno. Il risultato: nella stessa misura in cui aumenta la pressione della concorrenza, diminuiscono gli scrupoli tradizionali. Secondo il principio dell’autoaccelerazione, gli standard morali, in questa spirale negativa, sono destinati a scendere sempre più velocemente.

Almeno una consolazione Shleifer ce la dà: «Se le società diventano sempre più ricche, cresce anche la disponibilità a pagare per beni e servizi impeccabili dal punto di vista etico – dovuti a leggi e anche ad acquisti privati. Ecco perché le sanzioni statali in società sature sono efficaci e fruttano molto di più che in quelle povere.»

Ma allora l’etica dei media è un bene di lusso che ci si può o ci si vuole permettere solo in tempi di prosperità? Per i «mercati emergenti», che si trovano a un passo dal nuovo e sostenibile benessere, potrebbe essere uno spiraglio di speranza. Laddove invece bisogna stringere la cintola, pare si sia messa in moto la dinamica contraria: pessime prospettive per le ormai superate società industriali europee e i media.

Nella stessa misura in cui cresce la paura di perdere il proprio posto di lavoro, o si crea l’obbligo, in quanto vittima dell’«outsourcing», di doversi far valere sul mercato libero dei contenuti, a condizioni miserabili, cresce la disponibilità di assicurarsi l’esistenza ovvero il livello salariale abituale attraverso una riduzione del proprio lavoro (parafrasando articoli già scritti piuttosto che fare ricerche) o attraverso introiti extra lucrativi (attività di PR in campi che si studiano a fondo anche dal punto di vista giornalistico). La logica concorrenziale (poco) etica potrebbe in tal modo far sì che sempre più spazio venga dato all’«anything goes» anche nel giornalismo. «Prima il mangiare, poi la morale»: questa legge fondamentale, che Bertold Brecht formulò già negli anni Venti nella sua Opera da Tre Soldi, non ha perso di attualità, ma ha guadagnato in dinamica.

Traduzione: Marisa Furci