Sia chiaro: il virus di Ebola esiste. E non da ieri. Fu scoperto nel 1976 ed è terribile. Contrariamente ad altri allarmi del recente passato – come le influenze aviaria e suina – uccide. Tanto e male. Non può essere preso sottogamba. Tuttavia osservando la dinamica della comunicazione non posso non provare un crescente disagio e constatare i rischi di un’altra contaminazione, anzi di un altro virus: quello di una comunicazione scorretta che anziché permettere al pubblico di capire cosa stia davvero accadendo, alimenta una psicosi collettiva.
Fate caso agli annunci che vengono diffusi in queste ore. Da un lato le autorità sanitarie tranquillizzano: digitando le parole “Ebola e allarmismi” troverete decine di dichiarazioni rassicuranti. Gli esperti italiani riuniti a Congresso invitano alla calma definendo molto bassi i rischi di contagio in Europa. Idem il ministro italiano Lorenzin. Idem in Svizzera.
Contemporaneamente, però, vengono diffuse da fonti ufficiali dichiarazioni di tutt’altro tenore. Del virus di Ebola si è iniziato a parlare la scorsa primavera, poche notizie, che venivano pubblicate alla rinfusa ma con crescente intensità. Goccia dopo goccia i media, all’inizio distrattamente, parlavano di crescenti preoccupazioni per il diffondersi del virus letale di Ebola nell’Africa occidentale. Poi a settembre, quando il presidente Obama ha deciso l’invio di 3mila soldati per fronteggiare l’emergenza, Ebola è diventato un caso mondiale. Sono andato a recuperare la sua dichiarazione del 16 settembre. Ecco le parole del presidente americano:
“Il virus di Ebola rappresenta una minaccia globale che richiede una risposta davvero globale. È un’epidemia che non solo minaccia la sicurezza regionale, ma rappresenta anche una potenziale minaccia alla sicurezza globale, se questi Paesi si spezzassero, se le loro economie si spezzassero, la gente andrebbe nel panico. (…) Questa malattia ha effetti profondi su tutti noi, anche se non la contraiamo direttamente. Tale epidemia è già fuori controllo (…) E richiede la maggiore risposta internazionale nella storia del Centers for Diseases Control”
Da quel momento i media cambiano atteggiamento, secondo meccanismi di condizionamento psicologico ben noti, passando dall’apatia all’ansia; dunque alla ricerca spasmodica di notizie sull’Ebola, possibilmente preoccupanti. Segnalazioni di ricoveri sospetti in Occidente, copertura estenuante dei pochi casi certificati con alternanza di notizie tranquillizzanti (l’infetta spagnola sta meglio!) e scioccanti (è peggiorata e hanno dovuto abbattere il suo cane).
Il tutto mentre la maggior parte della autorità responsabilmente rassicura, altre alimentano la paura. Questo ceppo di virus non si trasmette per via aerea. Però, parola dell’ONU, potrebbe mutare rapidamente e diffondersi anche con uno starnuto. Intanto negli aeroporti americani si inizierà a misurare la febbre a distanza, mentre il direttore del CDC definisce Ebola l’epidemia peggiore dell’Aids. La Coppa d’Africa è a rischio, così come i calciatori che arrivano da quelle zone. Non c’è limite alla fantasia.
L’effetto ultimo sulla collettività è ben noto agli esperti di spin e di condizionamento mediatico-sociale: le rassicurazioni servono a evitare, almeno per ora, un’isteria collettiva, però di giorno in giorno la paura cresce e con essa la diffidenza, anzi l’ansia. Scavando nelle pieghe dell’attualità emergono altri fondati dubbi.
Ad esempio, per ammissione delle stesse autorità americane i 3mila soldati inviati nell’Africa occidentale non sono addestrati per far fronte a questo virus ovvero non servono a niente. Ma allora perché mandarli? E perché l’Unione europea vuole inviarne a sua volta?
I test medici sono efficaci in Occidente, dove si seguono le procedure corrette, ma, per ammissione della stessa Organizzazione mondiale della Sanità, non lo sono nei Paesi africani, per mancanza di mezzi e di strutture adeguati. Ad esempio nel Paese più colpito, la Liberia, le autorità sanitarie non riescono a distinguere le vittime di Ebola da quelle di altre malattie. Oggi solo il 31% delle morti è stato provocato sicuramente dall’Ebola. Il restante 47% è considerato solo probabile e il rimanente è dubbio.
Documentandomi per questo articolo, mi sono imbattuto in una fonte insospettabile, il portale dell’Epidemiologia per la salute pubblica che rilascia una sintesi equilibrata della situazione, si apprende che le probabilità di contagio per i residenti nelle zone a rischio sono piuttosto basse:
“Il rischio di infezione per turisti, visitatori o residenti nelle aree affette è considerato basso se viene evitato il contatto diretto con organi e secrezioni biologiche di persone infette (vive o decedute) e vengono seguite precauzioni generali: evitare il contatto con animali selvatici vivi e/o morti, i rapporti sessuali a rischio, il consumo di cacciagione locale e di frutta e verdura se non bene lavata e sbucciata. È raccomandato inoltre il regolare lavaggio delle mani”.
Ovvero le normali precauzioni che si prendono quando si viaggia in Africa. Ma proprio l’Oms avverte il mondo che siamo di fronte a un’epidemia senza precedenti. E i dubbi anziché placarsi aumentano. Delle due l’una: o ci troviamo di fronte davvero a una minaccia dagli effetti potenzialmente devastanti, una nuova Peste Nera e chi sa davvero lo lascia intendere preparando l’opinione pubblica al peggio ma non osa ancora affondare il colpo, o si tratta dell’irresponsabile ma purtroppo non sorprendente strumentalizzazione di un virus che esiste ma la cui rilevanza è al più locale, dunque circoscritta, come già avvenuto in passato. E se questo fosse il caso bisognerebbe domandarsi a quali fini. E magari, per una volta, chiederne conto ai responsabili.
Articolo pubblicato originariamente sul blog di Marcello Foa
Photo credits: European Commission DG ECHO / Flickr CC
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