Equo compenso per i giornalisti

10 Aprile 2012 • Etica e Qualità • by

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*(Vedi rettifica alla fine dell’articolo)

Lavoratore autonomo e indipendente, oppure sfruttato, sottopagato e ricattabile? Il rischio di oltrepassare la linea di confine è particolarmente pericoloso se il lavoratore in questione è anche tutore dell’indipendenza dell’informazione oltre che parte attiva nella formazione della opinione pubblica. I giornalisti lo sanno bene e parte proprio da loro la battaglia per un equo compenso.

Il mondo del giornalismo italiano è costituito infatti da una ampia schiera di precari (ne avevamo già parlato anche qui). La dignità del loro lavoro e del compenso ricevuto può ripercuotersi sulla dignità dell’informazione, fino a far vacillare quell’articolo 21 che garantisce costituzionalmente il diritto di essere informati e, per converso, di informare. Su questi assunti si basa l’iniziativa che ha portato in Parlamento la proposta di legge sull’equo compenso, la quale intende regolare l’elargizione di finanziamenti statali alle testate giornalistiche sulla base di una retribuzione dignitosa. E, prima ancora, c’è stata la Carta di Firenze a fare una piccola rivoluzione in seno agli organi che regolano la professione giornalistica. La Carta approvata l’8 novembre 2011 dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha infatti sancito che lo “sfruttamento dei colleghi” è deontologicamente scorretto. La “mamma” della Carta di Firenze, Antonella Cardone, è consigliera nazionale dell’ordine dei giornalisti e componente della commissione lavoro autonomo dell’Fnsi. A lei, che assieme a un gruppo ampio di giornalisti precari ha condotto in prima linea la battaglia contro lo sfruttamento dei giornalisti, chiediamo di raccontarci come nasce la battaglia per l’equo compenso.

La proposta di legge sull’equo compenso ha ricevuto il via libera dalla commissione Cultura della Camera, in sede legislativa, il 28 marzo. Il 4 aprile il presidente del Senato, Renato Schifani, ha firmato l’assegnazione in sede deliberante alla Commissione Lavoro della proposta di legge. Quando crede che potrebbe entrare in vigore la legge?

“Potremmo avere un bellissimo regalo di Natale”.

Come nasce la proposta di legge?

“Due anni fa l’ordine dei giornalisti aveva fatto una ricerca sui “ladri di sogni”, indagando i livelli di compenso. C’erano testate che non pagavano i pezzi, altre che ricompensavano con cifre come 50 centesimi… Alla presentazione della ricerca, che è disponibile online al link, fu invitata Giorgia Meloni, allora ministro della Gioventù, e in quella occasione venne lanciata l’idea di un bollino blu alle aziende che praticavano una equa retribuzione. La Meloni sposò ufficialmente l’idea, ma ci si accorse che era difficilmente praticabile se non associando i criteri di degna retribuzione all’assegnazione dei finanziamenti statali. Perciò nacque la proposta di legge, portata avanti da Valentina Aprea e Silvano Moffa, relatore Enzo Carra, e a cui contribuì Giuseppe Giulietti. Venne presentata alla Camera. Una proposta analoga venne presentata da Giulietti al Senato. Alla Camera il percorso di approvazione è stato velocizzato perché la proposta veniva avanzata in seno alla maggioranza, il consenso bipartisan è stato d’aiuto”.

Legare il “bollino blu” ai finanziamenti significa anche svincolare la proposta di legge da obiezioni, che pure ci sono state sul fronte degli editori, in tema di libertà di impresa e di concorrenza. Qual è la differenza tra il tariffario e l’equo compenso?

“I finanziamenti statali sono sempre stati assegnati secondo alcuni criteri, come la tiratura, o il vincolo nel numero di assunzioni (almeno 15 per una radio, 4 per un’agenzia regionale, eccetera). Ma sul resto non si è mai intervenuto. L’idea perciò è stata quella di creare un elenco delle testate con il diritto ai contributi. Si entra in questa lista se tutti i titolari di rapporti di lavoro non subordinati vengono remunerati secondo requisiti minimi di equità. Questo sistema ci ha svincolati dall’annoso dibattito su un tariffario e sulla libera concorrenza: il sistema è analogo a quello delle gare di appalto, dove per esempio si richiede un certificato antimafia. Si insedierà una commissione per la valutazione della equità di retribuzione del lavoro giornalistico e che entro 3 mesi dovrà stabilire i parametri. Sarà composta da quattro membri tecnici, che rappresenteranno il ministero del lavoro e quello dello sviluppo economico, l’ordine nazionale dei giornalisti e il sindacato Fnsi. Entro 60 giorni, con decreto del Presidente della Repubblica, dovremmo avere operativa la proposta”.

Come verrà quantificato questo equo compenso?

“La proposta di legge parla di equità in confronto al lavoro dipendente. E comincia a circolare il concetto che il lavoro autonomo debba costare anche di più. I dipendenti secondo quanto concordato da Fieg e Fnsi guadagnano circa 12,50 euro l’ora. Probabilmente il ragionamento partirà da questa cifra. La commissione lavoro autonomo dell’Fnsi dovrà lavorarci. Secondo noi giornalisti precari un minimo equo dovrebbe essere di cinquanta euro, tenendo conto così di tutte le spese che il giornalista “autonomo” supporta oltre al proprio operare, cioè contributi previdenziali, telefono, internet, iscrizione all’ordine… Il problema è che il governo ha fatto un’altra riforma che dovrebbe diventare operativa d agosto e che comporterà spese ulteriori, come la formazione continua – e una delle battaglie da fare sarà sulla proprio sulla possibilità di un aggiornamento formativo gratuito – e una assicurazione obbligatoria che supererà i mille euro annui. Perciò penso che si debba partire da almeno 60 euro a pezzo”.

Esistono casi analoghi di iniziative legislative per l’equo compenso giornalistico in Europa?

“Non ce ne sono. Il presidente del sindacato europeo dei freelance si è complimentato con noi. Bisogna considerare che all’estero solo ora i colleghi iniziano a subire gravi crisi, e in ogni caso mai – come succede invece spesso da noi – passa il concetto che debbano lavorare gratis. Negli altri Paesi europei non c’è una così forte precarizzazione del settore giornalistico. Inoltre l’impostazione è diversa: c’è una chiara distinzione tra il desk e il giornalismo sul campo. Basti vedere come la Columbia School of Journalism imposta i propri corsi: ci sono quelli per redattore e quelli per giornalista. Chi sta fuori, chi opera sul campo, viene pagato di più e non di meno. I compensi del prodotto giornalistico vengono stabiliti in una contrattazione in cui il free lance vende al migliore offerente, ha quindi potere contrattuale. Adesso magari questo compenso potrà essere sceso dalle duecento alle cento sterline, ma è certamente superiore ai compensi da fame che vediamo spesso in Italia”.

Stabilendo un minimo, si rischia che i compensi finora superiori tendano al ribasso? Quali sono secondo te le luci ma anche i rischi di questa iniziativa?

“E’ senz’altro positivo che i contributi non vengano assegnati a pioggia e senza criteri, come del resto la stessa legge sui contributi pubblici all’origine rivendicava. Qui si dettaglia il lavoro autonomo, si può benissimo fare impresa senza tenerne conto ma a quel punto bisogna rinunciare al sostegno pubblico. Il rischio è che, arrivando a una obbligatorietà sui minimi, questo potrebbe legittimare a ridurre i massimi. Ma noi giornalisti stessi dobbiamo essere in prima linea per difendere il principio che la qualità si distingue e si paga. Mi appello anche ai colleghi, non svendiamoci… E battiamoci perché queste iniziative vengano attuate e applicate. Ho lanciato l’idea della Carta di Firenze ma la sento una “figlia degenere” se poi chi subisce sfruttamento nei fatti non rivendica questi diritti. E quanto alla legge sull’equo compenso, il rischio che rimanga inapplicata esiste, l’ordine dei giornalisti dovrà rimanere in guardia perché la norma venga applicata”.

* Per una questione di chiarezza, correttezza e completezza delle informazioni, pubblichiamo  come ricevuta la precisazione di Fabrizio Morviducci, consigliere nazionale Odg (Italia) e responsabile del gruppo di lavoro sul precariato dell’Ordine al nostro articolo: 

“Vorrei chiedere cortese precisazione, all’intervista da voi realizzata relativamente alla legge sull’equo compenso e alla carta di Firenze.
In tal senso la consigliera Cardone non è la ‘mamma’ della carta di Firenze, come da voi indicato.
In particolare, il gruppo di lavoro da me guidato ha pensato e organizzato l’assemblea durante la quale oltre 500 free lance arrivati da tutta Italia, hanno scritto e condiviso la carta di Firenze.
La carta di Firenze è uno strumento che nasce grazie al contributo di tutta la categoria arrivato durante una manifestazione che il mio gruppo di lavoro ha organizzato e che il presidente Odg Enzo Iacopino ha avallato. Sarebbe pertanto riduttivo attribuirla a una sola persona senza rendere giustizia a chi ha effettivamente lavorato al progetto”.

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