La crisi dei rifugiati del 2015 in Germania ha scosso le fondamenta della fiducia nei media tedeschi. Secondo uno studio di Infratest dimap commissionato dal settimanale Die Zeit, il 60% dei tedeschi ha affermato di avere poca o nessuna fiducia nelle notizie politiche pubblicate dai media del suo Paese. Inoltre, il 39% dei tedeschi ha fatto sapere, questa volta in un sondaggio dell’istituto di opinione Allensbach, di credere che i media manipolino deliberatamente la realtà al fine di nascondere i fatti.
Al culmine della crisi migratoria, i simpatizzanti e i rappresentanti del partito nazionalista di destra Alternative für Deutschland (AfD), che si definivano come “Wutbürger” (cittadini furiosi, ndr), hanno insultato i media tradizionali definendoli “Regierungshörige Lügenpresse” (“stampa bugiarda serva del governo”, ndr) e “System-Medien” (“media del sistema”, ndr), ovvero definendoli come un cartello d’opinione venduto e politically correct. La diminuzione della fiducia nei confronti dei media tedeschi, però, è iniziata prima di questi eventi.
Per quanto riguarda la Germania, la crisi della fiducia nei confronti del giornalismo non ha un chiaro punto di partenza e i tedeschi più borghesi e conservatori si sono a lungo lamentati per la mancanza di diversità di opinioni e del troppo paternalismo dei giornalisti in un panorama mediatico che percepivano come prevalentemente di sinistra e liberale. Tuttavia è stato l’arrivo dei profughi siriani, afgani e iracheni nel 2015 a rivelare, come ha scritto la giornalista di Der Spiegel Isabell Hülsen, ciò che stava ribollendo sotto la superficie da molto tempo: l’impressione che i giornalisti non stessero più riportando le notizie in modo neutrale, ma che volessero educare i lettori e testare cosa potesse essere detto in Germania.
La crisi del giornalismo tedesco
Questo disagio nei confronti dei media, come ha scritto anche il giornalista di Die Zeit Götz Hamann già nel giugno del 2015, è stato fomentato anche dai giornalisti che, dopo lo schianto del volo Germanwings in Francia nel 2015, hanno invaso la città natale del pilota suicida Andreas Lubitz come avvoltoi. Allo stesso modo, anche quei giornalisti della Germania occidentale che, più o meno nello stesso periodo, cercavano di spiegare la crescita di AfD biasimando la popolazione dell’Est del Paese sono stati altrettanto controproducenti. I cambiamenti strutturali nel settore hanno contribuito a loro volta a generare questa situazione. I tagli ai posti di lavoro fra i giornali e gli editori negli ultimi anni hanno causato anche un calo nella varietà degli argomenti trattati e hanno danneggiato al qualità della copertura mediatica, mentre le scarse prospettive di carriera, le condizioni di lavoro precarie con salari bassi e il calo della reputazione dei media tradizionali preso i giovani hanno invece reso la carriera giornalistica poco attraente per molte persone.
I risultati sono stati catastrofici e le conseguenze si avvertono chiaramente solo ora in Germania. Se meno giornalisti vengono impiegati e diventa difficile trovare nuove risorse, i reporter locali, in particolare, spariscono dalle vite di molti. Nella campagna tedesca, molti lettori avvertono sempre più forte il distacco tra la propria vita quotidiana e le questioni ritenute importanti dai giornalisti nelle redazioni di Berlino. I media tedeschi sono, o almeno sembrano, in crisi.
Che fare?
La credibilità nel giornalismo e nei media nasce localmente e dove si incontrano persone di cui fidarsi, persone che non nuotano nel fiume di opinioni, ma che al contrario si creano la propria idea di quello che succede in una città, in un quartiere e oltre. Chi ha una posizione, ma non dà un’opinione. I giornalisti locali, in particolare, sono il cuore pulsante e anche il pacemaker della democrazia: solo se queste figure sono presenti in loco come reporter e prestano l’orecchio alle tematiche e alle preoccupazioni delle persone, mentre allo stesso tempo mantengono una distanza professionale da coloro di cui parlano, la fiducia nei media può tornare nuovamente a crescere.
Essere in contatto con ciò che accade fuori della redazione, però, non basta e gli errori commessi nella copertura mediatica non dovrebbero essere celati, ma al contrario discussi apertamente. I giornalisti dovrebbero cercare di riportare una pluralità di opinioni, ora più che mai. Allo stesso tempo, i lettori, gli spettatori e gli ascoltatori devono potersi ritrovare nelle tematiche discusse dai media. Infine gli editori e le emittenti devono fare uno sforzo per spiegare i meccanismi del giornalismo perché le persone hanno bisogno di capire come funzionano i media cui si affidano. Solo così potranno di nuovo fidarsi a pieno dei media.
Almeno in Germania i recenti avvenimenti e quella che io chiamerei lo shock della “stampa bugiarda” hanno avuto un effetto benefico sulla professione. “La nostra esigenza di moralizzare è diminuita, mentre l’umiltà è cresciuta”, ha affermato Isabell Hülsen di Der Spiegel agli inizi del 2018, una frase che spiega il risveglio collettivo sperimentato dal giornalismo tedesco. E i tedeschi, forse destabilizzati dalla vittoria di Donald Trump, hanno di nuovo cominciato a cercare una guida nei media. Secondo uno studio dell’Institute for Journalism dell’Università di Magonza, infatti, alla fine del 2017, solo il 17% della popolazione diceva di non fidarsi del giornalismo. Il compito di portare avanti la fiducia e la trasparenza nei media ricade per lo più ora sulle nuove generazioni e per questa ragione è fondamentale che in futuro ci siano ancora giovani a scegliere di diventare giornalisti. Persone che, attraverso il loro lavoro, vogliano diventare difensori appassionati della democrazia e della nostra società aperta.
Mai come ora i giornalisti digitali e di mentalità aperta hanno così tante opportunità di metter in pratica le proprie convinzioni e le proprie capacità: nella ricerca, attraverso il “mobile reporting” con gli smartphone, o unendosi ai consorzi globali di giornalismo investigativo. Queste persone, però, hanno ancora bisogno di sostegno e di editori, emittenti e scuole di giornalismo che li aiutino ad assicurarsi un futuro nell’informazione.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’Ejo. Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta