Ghana: Black Box – scatola nera

14 Aprile 2007 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

Il Corriere del Ticino, 14.04.2007

Premessa: non sono un esperto dell’Africa. Ma per ciò che sto per descrivere essere un esperto potrebbe essere più che altro un ostacolo. Piut­tosto, vorrei semplicemente sollevare una questione: come la realtà veicolata dai mass-media contrasta con l’esperienza personale che si raccoglie quando si ha l’opportunità di conoscere da vicino un paese afri­cano – nel mio caso il Ghana.

Sono stato in Ghana una decina di giorni, non solo nella capitale Accra ma anche l’entroterra – in qua­lità di ospite, invitato a 3 tavole rotonde con giorna­listi locali per parlare di libertà di stampa. Motivo di questa serie di conferenze: il mese scorso ricorrevano i 50 anni da quando il Ghana ottenne l’indipenden­za diventando la cellula germinale del movimento panafricano. Oggi il paese appartiene a quella man­ciata di stati africani nei quali vige una parziale de­mocrazia, dal punto di vista economico si riscontra una ripresa e dove i giornalisti non devono temere per la propria vita se ogni tanto azzardano qualche affermazione fuori dal coro.

La realtà africana veicolata dai media consiste prin­cipalmente in catastrofi, guerre e malattie. Ciò che ri­schia di finire nel dimenticatoio è la vita quotidiana con la quale gran parte della popolazione africana si vede confrontata: una miseria inimmaginabile, nes­sun rifornimento di acqua potabile, niente corrente elettrica, nessuna canalizzazione. Le baracche di le­gno e lamiera nelle quali si trovano ammassati, a mi­lioni, in grandi città senza volto. Le poche persone che in queste circostanze riescono ad essere produt­tive e le innumerevoli – soprattutto donne – che de­vono tirare avanti come venditrici ambulanti ai bor­di delle strade.
A me è parso abbastanza fuori luogo, per non dire spiazzante, discutere della libertà di stampa in que­sto contesto. Ma anche in questo caso vale la pena dare una seconda occhiata, proprio perché la realtà veicolata dai mass-media e l’esperienza personale non vogliono combaciare: se si segue la graduatoria di Reporter senza frontiere, il Ghana compare tra i cin­que paesi africani con la situazione migliore. Nella graduatoria che deriva dalla comparazione con al­tri 168 paesi, il Ghana si situa al 34. posto davanti a Francia (35.), Italia (40.), Spagna (41.) e Stati Uniti (53.).
Ma che aspetto ha la libertà di stampa in Ghana? Ognuno può esprimere ciò che pensa. Ma i prodotti editoriali, anche se a prima vista sembrano presen­tare un’ampia varietà, a guardar bene somigliano molto a postille senza significato.
E così sembra essere anche dietro le quinte: ad esem­pio, quando a Tamale stavamo per dare inizio alla nostra tavola rotonda, è comparso il governatore lo­cale. Il politico ha trasformato l’evento in una perso­nale conferenza stampa. Per un’ora ha raccontato quali sforzi sono stati fatti nella regione affinché si potesse realizzare la festa per il 50., attirando i gior­nalisti («miei colleghi e amici») con il metodo della carota e del bastone («Conosciamo il nome di tutti i seccatori e procederemo contro di loro senza pietà») e ordinando ai cameraman della TV locale quali pas­saggi del suo discorso mettere in onda, come se si trat­tasse del proprio staff di PR.
Poco prima dell’arrivo in Ghana, il presidente di un’as­sociazione giornalistica regionale era stato assassinato. Riguardo all’assassino e al movente non si è saputo nul­la fino al momento della nostra partenza. Ancora si spera che l’assassinio non fosse mosso da motivazioni politiche – diversamente dalle più recenti esecuzioni in Russia dalle quali i nostri politici occidentali hanno tan­to generosamente tolto lo sguardo (in testa l’ex presi­dente tedesco Schroeder, che notoriamente considera Putin un «democratico candido e senza macchia»).
Ma torniamo in Africa. Personalmente, per la prima volta in viaggio nel continente nero, mi sono doloro­samente reso conto quanto nonostante, o per via, del­la globalizzazione si percepisce la mancanza di cor­rispondenti che lavorino in Africa, in grado di farsi comprendere e con la volontà di fermarsi nei quar­tieri miseri per coglierne la vita quotidiana. La liber­tà di stampa è, purtroppo, solo una precondizione. Non è sufficiente: noi stessi, lettori, spettatori, ascol­tatori dobbiamo cercare più a fondo nelle nostre ta­sche (e più raramente soffermarci sui prodotti gratui­ti) se vogliamo davvero sapere cosa accade in Africa. Altrimenti gli editori continueranno a tagliare sui cor­rispondenti nel – purtroppo non del tutto irragione­vole – presupposto che la maggior parte di noi in fon­do non voglia davvero saperne.