Dopo una carriera come giornalista (alla Bbc e per Itn) e come membro dell’Ofcom – l’autorità per le telecomunicazioni nel Regno Unito -, sono giunto alla conclusione che i miei colleghi reporter in Gran Bretagna non sono interessati a leggere regole che qualcun altro ha scritto per loro. Il problema, quindi, si fa ancora più complesso quando, come nel mio caso, si tratta di scrivere un libro sulle regole e sulla regolamentazione del giornalismo che, ipoteticamente, i giornalisti inglesi dovrebbero leggere.
La prima e ovvia decisione è stata quella di non inserire la parola “etica” nel titolo. Al contrario, “When Reporters Cross the Line, the Heroes, the Villains, the Hackers and the Spies” contiene tutto quello che è compreso nel testo, traccia delle connessioni con alcune questioni correnti (come i processi per i recenti casi di phone hacking) e con alcuni fenomeni di successo nel mercato editoriale nel Regno Unito, come i libri sullo spionaggio e i tradimenti da parte di inglesi con ruoli di alto livello.
Siccome non è chiara la definizione di quando i giornalisti superano, di fatto, quella “linea” di cui tutti comunque sembrano parlare, il mio co-autore Jeff Hulbert e io abbiamo resistito alla tentazione di consegnare un verdetto alla fine di ognuno dei 14 studi di caso tratti dagli ultimi 100 anni di storia. I selezionati si trovano nel punto di incontro tra la ricerca accademica e lo storytelling: nel libro ci sono infatti episodi emblematici che spaziano da quelli di giornalisti televisivi inglesi molto famosi a confronto con la regolamentazione che chiedeva loro “la dovuta imparzialità” nei confronti di un corrispondente che si è scoperto essere, allo stesso tempo, una spia russa e un propagandista inglese, al caso del capo di un bureau della Reuters nella Berlino della Guerra fredda che, dopo aver improvvisamente cambiato casacca, si era messo a lavorare per la Germania Est. Nel capitolo conclusivo, “The Morals of the Stories”, invece, ho cercato di offrire alcuni pensieri generali tratti dalla ricerca che abbiamo condotto nei dettagli dei singoli episodi.
Abbiamo lavorato al libro quando la Leveson Inquiry e le sue conseguenze politiche si stavano concentrando sulla ricerca della massima accuratezza legale e normativa possibile, in parte per prevenire la fuga della stampa e, in parte, per continuare a bere prudentemente in quello che un tempo si chiamava il “saloon dell’ultima possibilità”, ovvero, per la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima possibilità per un’auto-regolamentazione. Ma più affinavo le conclusioni del nostro libro, più le lezioni del passato continuavano ad additare imprecisioni legali e normative venute in superficie nel tentativo di giudicare il giornalismo.
Lord Justice Leveson in persona ha tenuto un estemporaneo seminario sull’argomento durante una delle udienze, quando ha spiegato i diversi modi in cui un giornalista può commettere reati ma può sfuggire alla legge perché un giudice decide che l’infrazione è stata compiuta per il bene dell’“interesse pubblico”. Di recente, ho anche scovato il precedente di un’emittente televisiva che aveva senza ombra di dubbio infranto la legge e un pezzo di normativa, senza che né la legge, né l’autorità competente abbiano mosso un dito.
In cerca di buoni consigli da offrire agli aspiranti giornalisti, mi sono rivolto all’evidenza fornita da uno dei testimoni di Leveson. David Leigh, poi investigative editor del Guardian, ha confessato al giudice di aver intercettato un telefono, ma di essere certo di averlo fatto perché la storia era nell’interesse pubblico. L’esempio di Leigh ci ha offerto chiaramente quello che poi abbiamo battezzato “Leigh’s Line”:
“Penso che un giornalista debba essere pronto ad affrontare le conseguenze di quello che ha fatto. Intendo dire che se faccio qualcosa che penso sia corretto nell’interesse pubblico, devo comunque essere preparato alle conseguenze”.
La mia conclusione era stata che qualsiasi fosse stato il modello di auto-regolamentazione scaturito da Leveson, niente sarebbe più potuto essere lo stesso dopo il momento di trasparenza e di accountability rappresentato dalle udienze. La possibilità di essere messi in discussione in pubblico, la possibilità della pubblicazione di email interne alla redazione e l’altra probabilità di un buon fact-checking sui social media hanno cambiato i comportamenti e continueranno a fare altrettanto. Chi pensa di poter superare un test di “interesse pubblico”, in ogni caso, non dovrebbe avere nulla da temere.
Il video della presentazione del libro al Frontline Club di Londra:
Il libro “When Reporters Cross the Line, the Heroes, the Villains, the Hackers and the Spies” di Stewart Purvis e Jeff Hulbert è pubblicato da Biteback.
Photo credits: Emory Allen / Flickr CC
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