Il cane da guardia in sala rianimazione

11 Agosto 2008 • Etica e Qualità • by

St. Galler Tagblatt, 08.08.2008

Iniziativa di una fondazione statunitense per dare nuova linfa al giornalismo investigativo
Dieci milioni di dollari all’anno costa ad Herbert e Marion Sandler la loro redazione indipendente di 27 giornalisti. Il loro scopo è quello di dare nuovo vigore al giornalismo d’inchiesta.

Un nuovo sito web mostra quali contributi può dare una fondazione privata americana al consolidamento del giornalismo d’inchiesta incoraggiandolo a compiere ricerche approfondite e a far luce sugli scandali. La piattaforma si trova in internet all’indirizzo www.propublica.org. In questo modo in America la funzione pubblica dei media dipende sempre di più dal mecenatismo privato.
Il progetto sta ancora muovendo i primi passi, eppure a poco a poco assume contorni definiti.
Primo esempio
Per cominciare ProPublica, insieme alla trasmissione televisiva di attualità 60 minuti, ha presentato un reportage su Alhurra – emittente televisiva di lingua araba finanziata dal governo americano – che a quanto pare non è controllata da nessuno e, anzi, spesso agisce contro gli interessi statunitensi: infatti avrebbe ripetutamente trasmesso posizioni antiamericane e anti-israeliane. Ad un collaboratore in Iran che ha negato l’esistenza dell’olocausto è stato rinnovato il contratto, nonostante ai deputati del Congresso fosse già stato promesso il suo licenziamento. Con questa operazione secondo ProPublica si sarebbero sperperati complessivamente 500 milioni di dollari di imposte.
Istituzione non profit
ProPublica è stato annunciato in ottobre. Costo annuo dell’impresa per i filantropi e milionari Herbert e Marion Sandler: 10 Milioni di dollari. In compenso vanta una redazione indipendente di 27 giornalisti con sede a New York che non fa capo a nessun colosso editoriale o televisivo e opera come una istituzione non-profit. Responsabile del progetto è Paul Steiger, ex direttore del Wall Street Journal.

«Il giornalismo d’inchiesta è in pericolo» dichiara il sito web, «molti fornitori di notizie lo considerano un lusso.» Dal profilo giornalistico ProPublica vorrebbe diventare operativa “nell’interesse pubblico” laddove testate giornalistiche tradizionali faticano ormai ad arrivare. Negli ultimi anni numerose redazioni si sono ridotte del 20-30%, alcune perfino più della metà perdendo i mezzi necessari per compiere ricerche su temi complessi e scovare scandali con le proprie forze.

ProPublica vorrebbe «produrre un tipo di giornalismo che rivela quando i deboli vengono sfruttati dai potenti e quando questi non giustificano la fiducia riposta in loro». Così i promotori hanno reagito a degli inascoltati appelli di Cassandra: in America aumenta la preoccupazione che i media non siano più in grado di adempiere al loro ruolo pubblico di “cani da guardia” della democrazia. In particolar modo i grandi quotidiani statunitensi, un tempo noti per la loro opposizione ai poteri forti durante la guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate. Ora, al contrario, sono piuttosto le testate stesse a fiinire sotto accusa – per esempio nel caso delle bugie del governo Bush sulla guerra in Iraq. A questo si aggiunge la fuga in massa di lettori e inserzionisti.

Un’iniziativa “grandiosa”
Nell’era di internet è davvero possibile salvare la cultura del giornalismo investigativo, un tempo così determinante per i quotidiani americani, con l’aiuto di fondazioni e donazioni? Theodore Glasser, professore di giornalismo presso la Stanford University, trova “fenomenale” l’iniziativa di ProPublica, ma richiama l’attenzione sul fatto che «il modello economico finora vigente per il giornalismo non funziona più e che non esiste ancora alcuna soluzione a questo problema».
Promuovere le redazioni
In realtà l’intervento della fondazione non può sostituire né tantomeno garantire la qualità dell’operato delle classiche redazioni sofferenti per i continui licenziamenti di personale e per la conseguente perdita della cosidetta “memoria istituzionale”. In ogni caso, secondo Richard Tofel, general manager al fianco di Steiger, il progetto è ancora troppo verde perché possa creare un vero pericolo di assuefazione da parte delle redazioni verso un sistema “comodo” in grado di fornire storie gratuite di prima qualità e risparmiare loro qualsiasi sforzo.

Sarebbe invece molto più importante in futuro ancorare il giornalismo d’inchiesta al cuore delle redazioni. Nieman Reports vi contribuisce nella sua più recente edizione. La rinomata rivista specializzata dimostra alla maniera pragmatica degli americani come siano reattivi, oggi come allora, alcuni “watchdog” ritenuti sorpassati e questo in barba a tutti i tentativi del governo Bush di metterli al guinzaglio e farli tacere.

Barry Sussman che ha curato questa rivista speciale in qualità di redattore, si lamenta di quanto oggi le dinamiche lavorative siano cambiate: se un tempo infatti il reporter aveva la possibilità di dedicarsi e specializzarsi in un solo ambito, oggi lo stesso è responsabile di tre settori diversi e dunque è inevitabile che alcuni fatti passino inosservati.

Gli autori, tutti quanti caporedattori e reporter con esperienza, mostrano poi però in maniera impressionante cosa è ancora possibile in tempi di budget decurtati e pretese limitate. Due esempi: il data mining, ossia l’intrufolarsi nelle banche dati nell’ambito di ricerche giornalistiche, con l’aiuto di internet è diventato più rapido. Nel crowdsourcing invece il pubblico dà il proprio contributo alle ricerche – si tratta quindi allo stesso tempo di una forma intelligente di outsourcing: una parte del lavoro viene portata al di fuori delle redazioni, i lettori partecipano e apportano informazioni.

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