Corriere del Ticino, 25.05.2011
Il belga Weylandt è morto al Giro d’Italia e io non vorrei vederne le foto» scriveva il 9 maggio in un tweet Mario Tedeschini Lalli docente di Giornalismo Digitale presso l’Università di Urbino e viceresponsabile Innovazione e Sviluppo del Gruppo Editoriale L’Espresso. Si è detta scioccata un’amica, il giorno dopo l’accaduto, per aver assistito alla morte in diretta mentre seguiva la terza tappa del Giro in televisione. Indignata persino, quando la sera, a casa di amici, il notiziario TG del primo canale della tv svizzera RSI dava la notizia della morte del ciclista riproponendo lo stesso video della diretta con l’immagine di lui riverso a terra negli ultimi momenti della sua vita e i soccorritori che invano cercano di rianimarlo.
D’altra parte le immagini dovevano essere forti se lo stesso telecronista della terza tappa del Giro in onda sulla terza rete della RAI commentava «questa è un’inquadratura che francamente non avremmo voluto vedere» e una sua collega in studio, vista la drammatica situazione, diceva ai telespettatori «ci perdonerete per gli errori durante la diretta». E d’accordo con il critico televisivo Aldo Grasso, effettivamente durante la diretta televisiva era difficile agire diversamente. I giornalisti della RAI una volta realizzata la gravità dell’incidente hanno mostrato una sola immagine, una sola inquadratura (quella appunto del giovane riverso in terra) «e poi basta per fortuna».
Ma se la televisione pubblica italiana nel raccontare la tragedia si è mostrata discreta e rispettosa lo stesso non si può dire della stampa mainstream che all’indomani dell’accaduto ha scelto di riproporre il video e divulgare le foto sulle proprie testate online, ponendo in modo evidente l’accento proprio sul fotogramma del ciclista in condizioni disperate. È il caso dei siti del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport: entrambi propongono il video mettendo l’immagine di Weylandt riverso a terra come fotogramma iniziale sul quale bisogna cliccare per avviare il video. Anche chi è interessato solo all’articolo non può non vedere quella immagine. Poi seguono qualche secondo di pubblicità e un monito al lettore: «Attenzione! Queste immagini possono urtare la sensibilità dello spettatore». Anche i quotidiani online di La Repubblica, Il Giornale e Il Sole 24 Ore hanno fatto la stessa scelta di campo pubblicando delle fotogallery che permettono di zoomare le immagini oppure di vedere da vicino il corpo del ciclista pieno di sangue mentre viene rianimato.
Diverso e più sobrio l’atteggiamento della stampa internazionale dalla tedesca Frankfurter Allgemeine Zeitung, all’inglese Guardian fino alla Neue Zürcher Zeitung che ne hanno parlato con ampi servizi e in modo toccante senza mostrare il drammatico fotogramma, tanto meno il video della diretta.
A dimostrazione del fatto che ci sono modi diversi per raccontare la stessa storia. E che è legittimo in quanto lettore, fruitore ma anche operatore dei media chiedersi se fosse davvero necessario al fine di dare la notizia, di raccontare la sequenza dei fatti accaduti, mostrare Wouter Weylandt, promessa del ciclismo, appena ventiseienne, in attesa del suo primo figlio, così senza filtri e senza veli negli ultimi intimi attimi della sua vita? E se in questo caso, la stampa online, per informare bene e in profondità, non potesse affidarsi semplicemente alla parola scritta rinunciando per una volta ai video e alle fotogallery in nome delle visite e dei click.
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