Il mercato e il giornalismo: chi osa viene premiato

28 Settembre 2007 • Etica e Qualità • by

Il Corriere del Ticino, 28.9.2007

La tendenza è emersa negli Stati Uniti: sempre più giornalisti ritengono che il successo di alcuni quotidiani rispetto ad altri di pari dimensioni e influenza sia da ricercare nella capacità di fare giornalismo d’inchiesta e, all’occorrenza, di denuncia.

Certo la situazione americana è diversa da quella europea: il Paese è talmente grande che, fatti salvi il Wall Stre­et Journal e Usa Today, non esiste una stampa «nazionale», bensì testate leader nei singoli Sta­ti o nelle grandi metropoli, talvolta senza seri concorrenti. Il che spiega perché per anni il mer­cato editoriale statunitense sia stato assai reddi­tizio. Ma l’avvento di Internet sta avendo un du­plice effetto: lettori e pubblicità tendono a mi­grare sulla Rete. Però alcuni giornali resistono meglio di altri. Come? Sebbene la prova empiri­ca sia difficile da ottenere, l’impressione, suffra­gata da alcuni articoli della nota rivista di set­tore Columbia Journalism Review, è che il pub­blico sia disposto a rinnovare l’abbonamento se il quotidiano è vivace, originale e, soprattutto, se svolge il suo ruolo di «cane da guardia» del si­stema. I media che si appiattiscono o che si mo­strano troppo compiacenti verso il potere politi­co perderebbero copie anche operando in condi­zioni di monopolio.
I media non sono una scienza esatta e bisogna evitare paragoni impropri e generalizzazioni fret­tolose, ma osservando quel che accade in Italia, si può dedurre o perlomeno sperare che la rego­la valga anche nel Vecchio Continente. Più di una testata sta riscoprendo il coraggio della de­nuncia, con immediato ritorno nelle edicole. In­somma, chi osa viene premiato. Le inchieste di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, ad esempio, riscontrano un innegabile apprezza­mento; idem il Giornale quando svela i retrosce­na della vicenda Unipol o la Repubblica che, in solitudine, denuncia l’esistenza alla Telecom di un servizio di monitoraggio illegale da Grande Fratello. In tv la tendenza è analoga: la trasmis­sione Report della Gabanelli è seguitissima, co­sì come le Iene per i suoi scoop, come quello sul consumo di droga tra i parlamentari.
Un tempo erano soprattutto i settimanali a sco­prire e denunciare gli scandali; ma nell’ultimo decennio i magazine hanno perso, complessiva­mente, molta grinta, diventando troppo preve­dibili; spesso per timore di infastidire gli inser­zionisti pubblicitari. Ultimamente anche su que­sto fronte sono emersi sintomi di risveglio, in par­ticolare dall’Espresso, che già nel 2006 movimen­tò l’estate con un’inchiesta sullo sfruttamento – anzi, sulla schiavitù – degli immigrati, impiega­ti senza contratto e con stipendi miserevoli nel­la raccolta di pomodori in Puglia. Quest’anno il settimanale romano ha concesso il bis, risultato politicamente molto più rilevante. Ai primi di settembre ha scoperchiato «Casa Nostra», rive­lando i nomi dei politici che hanno comprato nella capitale a prezzi stracciati appartamenti e attici messi in vendita da enti pubblici e assicu­razioni. E che nomi: il presidente del Senato Ma­rini, il sindaco di Roma e probabile leader del Partito democratico Veltroni, il ministro della Giustizia Mastella e ancora: Casini, Violante, il giornalista Giuliano Ferrara, il sindacalista Bo­nanni. Quasi tutta gente vicina al governo Pro­di. E qui sta la particolarità dell’Espresso: pur essendo un settimanale indipendente è di sini­stra, ma non si è censurato. Ha preferito fare buon giornalismo, anche a costo di danneggia­re i partiti dell’Unione. E infatti la reazione dei lettori è stata di sdegnato plauso per la direttri­ce Daniela Hamaui. I politici coinvolti si sono infuriati. Ma l’Espresso ha tirato avanti. Buon segno.

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