E’ l’editoriale in veste digitale, è la voce dei territori oppure quella fuori dal coro. O ancora è lo strumento di punta per il giornale digitale globale (vedi alla voce Huffington Post). Si presta ai contesti più svariati, si incastona nelle pagine online dei giornali mainstream ma si trova al suo posto anche in quelli di nicchia o anche senza nessun cappello sulla testata. Che lo si dica giornalismo oppure no, c’è sempre lui sotto tutte queste vesti: è il blog. Uno strumento nato libero assieme alla libera rete e che più di una volta, nelle fasi evolutive del world wide web, ha rischiato di finire intrappolato in qualche groviglio legislativo. Durante l’autunno 2011, sul finire del governo Berlusconi, si era tornati a discutere dell’obbligo di rettifica anche per i blogger, con tempi rapidi o altrimenti una sanzione pecuniaria. Era la disposizione soprannominata “ammazza-blog”. Questa primavera e a governo cambiato, il ministro della Giustizia Paola Severino ha rilanciato la necessità di regolamentare la blogosfera ammiccando di nuovo all’ipotesi di rettifica obbligatoria.
In un contesto tecnologico ed editoriale che non può fare a meno di mutare, la tensione tra libera sperimentazione e rigida regolamentazione produce la ricerca di un equilibrio. E come avvenne per la televisione in Italia, anche per ciò che riguarda il blog, se la tecnologia e la pratica vanno più veloci della legge, è la giurisprudenza a tentare di compensare le distanze. Anche in questo caso, infatti, è la Corte di Cassazione a mettere qualche punto fermo nella miriade delle ipotesi e delle interpretazioni. La stella polare appuntata il 10 maggio nel firmamento dell’informazione dice che il blog non ha obbligo di registrazione in tribunale. Una sentenza che ribalta la valutazione del tribunale di Modica e la sentenza d’appello. Protagonista della contesa giuridica che si è protratta per circa sette anni è lo storico, giornalista e saggista siciliano Carlo Ruta. Una voce impegnata contro la mafia, la sua, e che ha resistito a minacce, pressioni, denunce. Ma laddove le pressioni illecite non sono riuscite, è arrivato per uno strano paradosso lo Stato, il che ricorda le ultime vicende della siciliana Telejato. Il blog accaddeinsicilia.net è stato oscurato non perché la voce di Ruta si sia affievolita a causa delle minacce, ma perché stando a quanto ha sentenziato il tribunale di Modica nel 2008 in primo grado, il blogger era colpevole di stampa clandestina.
L’appiglio giuridico era la legge sulla stampa, ovvero la n.47 dell’8 febbraio 1948, la quale stabilisce che nessun giornale o periodico possa essere pubblicato senza venir prima registrato in tribunale. Una norma, questa del dopoguerra tuttora in vigore, che è stata dichiarata estensibile anche ai prodotti editoriali telematici da una più recente norma del 2001, la numero 62. Ma questa legge sull’editoria del 2001 lascia di fatto aperte le interpretazioni, al punto che un esperto del settore come Guido Scorza non ha esitato a sottolineare come in virtù di questa “da un giorno all’altro l’intera Rete avrebbe potuto essere ritenuta clandestina”. L’interpretazione della legge adottata con la sentenza di Modica ha fatto scalpore, suscitando massicce reazioni di blogger, cultori e frequentatori della rete, oltre che un certo sconcerto suggerito dal ritorno dopo trent’anni di una condanna per stampa clandestina. Il sito Censurati.it aveva definito la sentenza “oscurantista” e lanciando una petizione chiamava a raccolta “le realtà delle reti, le sedi dell’informazione, le espressioni del paese civile” perché ”rispondessero con la massima determinazione”. La condanna è stata però confermata dalla prima sezione penale della Corte d’appello di Catania a fine maggio 2011. Anche in appello quindi la giustizia sembrava dar ragione al procuratore ragusano Agostino Fera, dichiaratosi parte lesa nel processo e che si riteneva danneggiato dai post di Ruta. Nel frattempo, per il mondo dell’opinione e dell’informazione online si presagiva un profondo scompiglio: se il blog dello scrittore siciliano era clandestino perché a tutti gli effetti paragonabile a titolo di legge a un quotidiano cartaceo, allora tanti altri blog si sarebbero trovati nella medesima condizione di illegalità.
Ma la sentenza d’appello, che l’avvocato di Ruta Giuseppe Arnone aveva attaccato come “gravemente illiberale”, viene ribaltata un anno dopo dalla Corte di Cassazione. Arriviamo così al 10 maggio 2012. Il giudizio di legittimità della Corte stabilisce che un blog, pur se afferibile alla categoria informativa, non sia affatto tenuto a registrarsi in tribunale. L’unica eccezione si riscontrerebbe in quei casi in cui vengono percepiti finanziamenti pubblici. Il reato di stampa clandestina quindi non riguarda affatto Ruta né gli altri blogger con storie analoghe alle sue. Il protagonista della vicenda ha esultato per una sentenza che ritiene “determinante per il destino della comunicazione in rete, e che ripaga i sacrifici fatti e l’impegno di tutti”. “D’ora in poi possiamo dirci davvero più liberi”, ha annunciato. Ma all’entusiasmo per questa sentenza fa seguito anche una certa cautela se si considera nel suo complesso la storia tormentata del blog. Il giurista Scorza ad esempio fa notare che “in un Paese civile e moderno, non possono essere necessari quattro anni perché un Giudice scriva l’ovvio in una Sentenza”.
All’amarezza sui tempi lunghi si aggiunge poi la necessità di dare forza alla posizione già espressa con la sentenza. Articolo 21 per voce di Giuseppe Giulietti dichiara infatti che “per evitare qualsiasi equivoco, anche per il futuro, in occasione della ridefinizione della legge sull’editoria annnunciata proprio in questi giorni dal sottosegretario Peluffo presenteremo insieme a Vincenzo Vita provvedimenti abrogativi specifici, e anche tali da evitare che qualche altro magistrato possa essere indotto in tentazione in futuro”.
Tags:blog, blogosfera, Paola Severino, sentenza